Libia ancora nel caos, l’Italia chiede aiuto agli Usa

di Angela MauroHuffingtonpost

Mattarella riceve il vicepresidente Pence: “Serve il prestigio politico degli Stati Uniti”. Incontro anche con Conte. A Istanbul Merkel vede Erdogan: “Haftar non rispetta la tregua”. A Bruxelles, riunione sulla missione Sophia, resta il nodo migranti

ASSOCIATED PRESS
Vice President Mike Pence shakes hands with the President of the Italian Republic Sergio Mattarella, right, during their meeting at the Quirinale Presidential palace, in Rome, Friday, Jan 24, 2020. (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Bisogna “impegnare il prestigio politico statunitense per la costruzione della pace” perché c’è “un rischio elevato di frantumazione della Libia” e di “destabilizzazione dell’intera area del Maghreb”. Così il presidente Sergio Mattarella al vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence, ricevuto oggi al Quirinale. Sulla Libia l’Italia preme sugli Usa, perché un maggiore impegno di Washington è la speranza – anche europea – di riuscire a smontare il ‘gioco bellico a due’ stabilito dal turco Erdogan e il russo Putin. A circa una settimana dalla conferenza di Berlino che ha stabilito una cornice di accordo sulla tregua, sull’altra sponda del Mediterraneo proprio di fronte alla Sicilia c’è ancora la guerra.

Erdogan se la prende con Haftar, il generale della Cirenaica, che, a suo dire, “rispetta la tregua solo a parole”. Il sultano lo ha spiegato a Angela Merkel nel bilaterale oggi a Istanbul. La Cancelliera è andata in Turchia per l’inaugurazione di nuove strutture dell’università turco-tedesca. Ma la visita è stata l’occasione per un colloquio di due ore con il presidente turco che in Libia ha stretto un accordo economico-militare con il premier di Tripoli Fayez al Serraj. “I nostri militari sono in Libia solo per addestramento”, puntualizza Erdogan al termine dell’incontro con la Cancelliera, ma non se ne andranno: “Siamo determinati a sostenere al Serraj”. Il che rende difficile il ritiro delle truppe di Haftar, sostenuto da Emirati, Egitto e vicino alla Russia e alla Francia.

A Roma invece arriva Mike Pence. Già domenica scorsa a Berlino, nello scambio con il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, Giuseppe Conte aveva chiesto una presenza maggiore degli Stati Uniti nella gestione del caos libico. Oggi è Mattarella che direttamente ne parla con Pence, il quale viene poi ricevuto dal premier a Palazzo Chigi.  “Come le ha detto il presidente Trump durante la sua visita, non molto tempo fa, i legami tra Italia e Stati Uniti non sono mai stati così forti”, sono le parole del vicepresidente degli Stati Uniti.

E Conte gli recapita lo stesso messaggio: Washington eserciti le sue pressioni su tutte le parti in causa per arrivare ad un cessate-il-fuoco perchè è importante che sulla tregua decisa a Berlino, pur senza l’ok di al Serraj e Haftar, ci sia anche l’impegno degli Stati Uniti. Pence ha promesso di recapitare il messaggio a Trump, dopo aver portato i saluti del presidente dell’amico italiano “Giuseppi”, come l’inquilino della Casa Bianca scrisse nel noto tweet di enforcement a Conte nei giorni della crisi del governo con la Lega, poco prima del secondo incarico a Palazzo Chigi. Nell’incontro con Pence, il premier ha anche posto il problema delle minacce di dazi americani contro i prodotti italiani per la scelta di Roma di istituire la web tax sui giganti digitali americani. Anche qui, il messaggio verrà portato alla Casa Bianca. E poi presenza italiana in Iraq. Conte chiede condizioni di sicurezza a Pence e dopo di lui riceve il presidente iracheno Baham Salih, pure interessato a confermare la presenza militare italiana nel paese.

A Berlino Merkel ha tentato di stringere i bulloni ad un’alleanza internazionale per il cessate-il-fuoco in Libia, una tela globale che riuscisse ad allentare la presa sul campo da parte di Putin ed Erdogan. La richiesta italiana verso gli Stati Uniti risponde a questa stessa esigenza, ancora più pressante visto che, a quasi una settimana dal vertice in Germania, la situazione in Libia non pare cambiata, al Serraj e Haftar continuano a sfidarsi, il generale della Cirenaica resta fedele alla scelta di non aderire alla dichiarazione comune sulla tregua domenica scorsa nella capitale tedesca. Esattamente come ha fatto il premier di Tripoli.

E se la situazione sul campo resta caotica, è difficile anche pianificare le prossime mosse. Oggi a Bruxelles, si sono riuniti gli ambasciatori dei paesi membri dell’Unione per avviare il lavoro che rimetterà in funzione la missione navale europea Sophia con il compito di monitorare l’embargo sulle armi. Ma il nodo resta sempre lo stesso: gli sbarchi dei migranti soccorsi in mare. Nuova riunione degli ambasciatori martedì prossimo.

Il mandato attuale obbliga Sophia, missione a guida italiana, a farli sbarcare in Italia. Il ministro degli Esteri Luidi Di Maio si è detto contrario nella riunione con i colleghi europei lunedì scorso a Bruxelles. Oggi una mano tesa arriva dalla Germania. Il ministro degli Interni Horst Seehofer dice: la missione europea Sophia, anche in una nuova veste per il monitoraggio dell’embargo Onu sulle armi in Libia, “dovrebbe salvare i migranti in difficoltà in mare, non essere un servizio di taxi o navetta tra la Libia e l’Italia”, se lo diventasse “non vorrei partecipare alla redistribuzione dei rifugiati”. L’idea di Seehofer è di estendere l’accordo sulla distribuzione dei migranti raggiunto da Italia, Germania e Francia al vertice di Malta lo scorso settembre. Il problema è che Sophia è una missione militare: non può poggiarsi sui meccanismi volontari. E quello di Malta è un accordo su base volontaria.

Il mandato di Sophia – missione operativa solo in teoria perché senza navi, per via della indisponibilità dei paesi europei e dell’Italia che l’anno scorso decise lo stop sotto la guida del governo Lega-M5s – scade il 31 marzo. Entro quella data, bisognerà trovare un accordo per resuscitare la missione e vigilare sull’embargo di armi. Tempi lenti dell’Ue, mentre in Libia le ostilità non sembra aspettare.