di Guglielmo Rezza – OTHERNEWS
Un risultato scontato per delle elezioni il cui significato più importante non è quello elettorale
Il Ba’ath, partito di Bashar al-Assad e ancor prima di suo padre, il defunto Hafez al-Assad, ha vinto le elezioni parlamentari in Siria. Il Partito correva assieme alla lista di Unità Nazionale, che si è aggiudicata 177 di 250 seggi complessivi del Parlamento siriano: una maggioranza solida ma non esagerata, per quelle che sono state definite dall’opposizione in esilio -già il fatto che l’opposizione parli dall’esilio non è tendenzialmente un buon segno- delle elezioni farsa.
Questa tornata elettorale rappresenta la terza dallo scoppio della guerra: l’ultima si era tenuta nel 2016. Originariamente, i siriani avrebbero dovuto recarsi alle urne ad aprile, ma le elezioni sono state post-poste due volte a causa del coronavirus che, stando ai dati prettamente ufficiali, avrebbe infettato nelle regioni controllate dal governo solo 540 persone, uccidendone 31. Così, nella giornata domenica, si sono finalmente svolte le elezioni dall’esito sopra descritto.
Quando si parla di “elezioni in Siria” è opportuno specificare che si sta facendo riferimento alle aree sotto il controllo delle truppe di Assad. Questi 9 anni di guerra hanno visto le truppe governative inizialmente in difficoltà, perdendo territori prima ad opera dei ribelli e poi dell’Isis: il sostegno russo e iraniano ha però permesso ad Assad di guadagnare nuovamente terreno, riacquistando il controllo di tutte le maggiori città del Paese, fatta eccezione per Idlib, tuttora in mano ai ribelli. Ai territori sotto il diretto controllo governativo vanno inoltre aggiunti quelli amministrati congiuntamente con la coalizione curda, che includono anche l’ex capitale dell’Isis, Raqqa.
Dunque, sebbene queste non rappresentino le prime elezioni dallo scoppio della guerra, sono però certamente quelle che hanno coinvolto una maggiore porzione di territorio siriano: le votazioni si sono svolte in aree da lungo tempo sotto il controllo governativo, ma anche in aree precedentemente sotto il controllo dei ribelli o dell’Isis, come Raqqa, Aleppo, Deir el-Zor e Palmira. Stando ai dati ufficiali, circa 7.000 cabine elettorali sarebbero state allestite su circa il 70% del territorio siriano.
Naturalmente, vi sono pesanti dubbi, se non vere e proprie certezze, circa la legittimità del risultato elettorale. Alle elezioni non sono stati ammessi veri partiti d’opposizione, il Paese è pesantemente militarizzato e sotto il controllo di truppe e milizie fedeli al regime ed è altissimo il numero di rifugiati e sfollati interni che non si sono potuti recare alle urne poiché non si trovavano nella circoscrizione di residenza: a tal riguardo, è significativo il dato dell’affluenza, che si attesta solamente al 33% degli aventi diritto.
A fronte di un risultato elettorale già deciso e dell’assenza di una reale competizione democratica, ci potrebbe chiedere quale sia, pertanto, la reale valenza di queste elezioni. In realtà, la pratica di tenere formalmente elezioni è diffusa tra molti Paesi non democratici e lo scopo è sempre lo stesso: cercare legittimazione, interna ed esterna. Un’elezione può dare a un regime una falsa investitura popolare, trasformandolo in un portatore dell’interesse dei propri cittadini e in un rispettato membro della comunità internazionale. Lo svolgimento di una votazione può anche dare legittimazione popolare a realtà fattuali che sono già decise con le armi: a tal riguardo sono significative le parole del primo ministro siriano, Hussein Arnous, che ha affermato che “oggi si aggiunge una vittoria politica a quella militare”.
Mentre si prepara l’offensiva per riconquistare Idlib, ultima roccaforte ribelle, la Siria si appresta così ad entrare in una nuova fase della propria vita politica. Eccezion fatta per i territori occupati dalla Turchia, che difficilmente torneranno mai a far parte della Siria, Assad è vicino a schiacciare le ultime resistenze al suo potere. Così, quando le armi cesseranno di far fuoco, la Siria uscirà dalla fase della guerra civile e farà ritorno a una situazione molto simile a quella precedente allo scoppio del conflitto: il ritorno alla situazione prebellica comporta però anche la necessità di tenere periodicamente delle “elezioni” che legittimino l’esercizio del potere da parte di Bashar al-Assad e del suo partito, come quelle che, per l’appunto, hanno appena avuto luogo. Assad sta per tornare ad essere il Presidente del Paese nella sua interezza e il possesso di una -finta o reale che sia, non ha importanza- legittimazione popolare è uno dei passi consuetudinari a tal fine.
Per la Siria l’uscita della guerra è sempre più vicina, ma ciò comporterà semplicemente il ritorno al potere di Bashar al-Assad, con l’aggiunta di 10 anni di morti, distruzione e debiti contratti prima per demolire il Paese e poi per ricostruirlo.