L’Europa respira

di Riccardo PetrellaOTHERNEWS

Recovery” è la parola chiave. Verso l’inizio di un nuovo processo?

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea

Si e no. Anzitutto dobbiamo credere, a condizione di verifica futura, nella sincerità di quanto sottoscritto da parte di tutti i capi di governo dell’UE all’inizio delle conclusioni del Consiglio europeo del 23 aprile, atteso con speranza, drammaticità, paure. Si legge “Il benessere di ciascuno Stato membro dell’UE dipende dal benessere dell’UE nel suo complesso(…). Abbiamo espresso la ferma volontà di procedere fianco a fianco (…). Siamo tutti d’accordo nel ritenere che le priorità siano la salute e la sicurezza dei nostri cittadini.”

Se non ci crediamo, possiamo terminare qui.  Io prendo il rischio di crederci. Pertanto, anche se la proposta chiave approvata dai capi di governo non elimina le possibilità di sviluppi futuri indesiderabili, nefasti, credo che essa rappresenti una buona dose di ossigeno sufficiente per superare il rischio di asfissia che stava soffocando il divenire comune dei popoli e dei cittadini europei.

La « Recovery Road Map”: guarigione e ripresa

Uso deliberatamente la metafora improntata alla pandemia da Covid-19 per due precise ragioni.  Sono convinto che non v’è stata crisi aperta imposta dai “cattivi” paesi (Germania, Olanda, Finlandia ….in testa), non solo per la determinazione dei 9 paesi opposti , diciamo per essere brevi, all’Europa dell’austerità, ma soprattutto a causa della grave crisi sanitaria che ha già sconvolto la vita di tutti gli Europei (e non solo).

I capi di governo sarebbero stati mandati, tutti,  fin da oggi con ignominia al macero della storia se non avessero affermato che la priorità è la salute dei cittadini. E che, per conseguenza, hanno deciso di mobilitare in comune e sotto la responsabilità comune, nel quadro del bilancio europeo pluri-annuale, un vistoso pacchetto finanziario destinato a coprire una serie importante di  programmi d’intervento, il tutto  chiamato “Recovery RoadMap” . In questo contesto,  il termine “recovery” sta chiaramente per “guarigione”.

Per quanto riguarda la  seconda ragione, mi riferisco  alla seconda priorità menzionata nelle conclusioni dei capi di governo, strettamente  legata alla prima, e cioé “la sicurezza dei cittadini”, con (forse) riferimento al disastro climatico ed ecologico, alla crisi fallimentare dell’unione economica all’insegna unicamente del mercato e della moneta ed ai conseguenti bloccaggi permanenti: crescenti divergenze strutturali economiche e sociali e, quindi, politiche; l’esplosione dell’impoverimento (più di 120 milioni di europei “a rischio (sic) di povertà”; lo smantellamento della sicurezza sociale e dello stato del Welfare. L’Europa è diventata una grande isola d’insicurezza, la sicurezza essendo stata ridotta alla sicurezza economica (e militare) in quanto appannaggio dei più forti, dei più competitivi, dei più resilienti. 

La proposta chiave del “Recovery Road Map” è considerata una necessità,  uno strumento potente in favore del rilancio dell’economia europea, della  sua crescita secondo un modello di sviluppo detto durevole. In questo senso, “recovery” sta soprattutto per “ripresa” Da qui il peso avuto dal “New Green Deal”, da più di un anno sul tavolo dell’Europa, sulle decisioni del Consiglio europeo.

A mio parere, la pandemia da coronavirus e l’accordo già esistente  sul “Nuovo Patto Verde”  sono state le due forze che hanno indotto il 23 aprile  ad una svolta sulla questione che è al centro della politica dell’integrazione europea fin dalla sua nascita, e cioè il potere sulla politica economica, monetaria e finanziaria del continente. Nei due casi,  guarire grazie a nuovo ossigeno e cosi riprendere il respiro, la forza economica, è stato nell’immaginario degli interessi e dei calcoli di potere il filo rosso che ha guidato la svolta del 23 aprile.

Perché SI , siamo di fronte ad un possibile inizio di un nuovo processo?

Per la prima volta dal Trattato di Maastricht (1992) ad oggi, un dato innovatore. La priorità nelle misure scelte e negli strumenti proposti non è più data principalmente alle istituzioni e ai meccanismi sui quali si è fondato il sistema oligarchico tecnocratico europeo in questi ultimi anni. Essa è data, al di fuori de 450 miliardi di euro reperibili via interventi della BEI, il programma SURE, il MES volontario secondo la vecchia maniera, alla creazione di un nuovo Recovery Fund (si parla di 1.500 miliardi di euro) paritempo all’abbandono (provvisorio?) dei vincoli detti di austerità.

Si tratta, ed è qui la  novità rispetto agli ultimi anni, di risorse eccezionali che saranno iscritte nel bilancio europeo pluri-annuale (2021-2027) cui partecipano tutti gli Stati membri. Queste risorse saranno assegnate ai diversi paesi attraverso indicatori relativi  alla percentuale di popolazione colpita dalla pandemia, alla caduta del PIL, al livello di aumento della disoccupazione ed altri indicatori socio-economici. Non si tratta di risorse trasferite con l’obbligo di rimborso. Come nel caso dei vecchi fondi strutturali per l’agricoltura, per lo sviluppo regionale ed il fondo sociale – che furono negli anni 60 e 70 gli strumenti su cui nacquero le politiche europee comunitarie, il recovery fund vorrebbe essere uno strumento comune per delle politiche/programmi comuni “innovatori”. Viene cosi eliminato il meccanismo pernicioso dell’indebitamento di uno Stato nei confronti di un altro Stato membro e di creditori privati.

Per quanto riguarda i titoli che saranno messi sul mercato, si tratterebbe di titoli perpetui dando diritto ad interessi ma non al rimborso del capitale.

Beninteso, la bontà della Recovery RoadMapo dipenderà dalle regole che saranno stabilite riguardo i sistemi di decisione dell’allocazione delle risorse e di controllo del loro utilizzo, i margini di manovra lasciati agli Stati beneficiari, l’importanza del ruolo del Parlamento europeo e soprattutto  della BCE. Resterà essa politicamente indipendente dalle altre istituzioni europee?

Allo stato attuale, la proposta del Recovery Fund come parte integrante del bilancio europeo (e quindi con conseguenze importanti sulle risorse proprie dell’Unione e sulla fiscalità europea) potrebbe costituire il tentativo di organizzare nuove modalità di solidarietà intra-europea agendo con mezzi comuni per la guarigione (la salute) e per la ripresa economica (la sicurezza) al servizio dell’insieme dei cittadini dell’Unione europea, in particolare di quelli impoveriti ed esclusi dalla crescita economica finora realizzata.

Perché NO, non siamo di fronte ad un possibile inizio di un nuovo processo?

 E’ soprattutto a partire dall’ultima considerazione che penso NO. In effetti,  grande è il rischio che le opportunità aperte dalle proposte del 23 aprile siano vanificate e rese, addirittura, contrarie alle attese suscitate. Perché?

Non mi sembra che emergano dalle proposte fatte elementi convincenti ed incoraggianti che consentano di pensare che non si ritornerà al sistema, ai sistemi, di prima, per quanto riguarda sia la guarigione (la salute) ed il dopo Covid-19 che la ripresa (la sicurezza economica) via il New Green Deal .

Non v’è dubbio che per alcuni due/tre anni assisteremo a delle modifiche importanti sul piano individuale e comportamentale (attività domestiche, alimentazione, luoghi di lavoro, utilizzo dei mezzi di trasporto “pubblici” , strutture sanitarie “pubbliche”, sistemi di comunicazione ed informazione, pratiche scolastiche e d’insegnamento, ripensamento della cura degli anziani, vacanze e attività turistiche….).  Si tratterà, sostanzialmente, di cambiamenti operati od imposti agli individui ed alla socialità. Ma le misure per la “guarigione” (salute e New Green Deal) condurranno l’Unione  europea  – diamo solo pochi esempi –  a processi di demercificazione dei farmaci, alla revisione della direttiva quadro sulla proprietà privata sul vivente, in particolare ai brevetti sui vaccini, all’eliminazione dei prodotti tossici (PFAS, tra gli altri) nocivi all’ambiente ed alla salute umana? 

Abbandonerà l’UE l’attitudine compiacente attuale verso le industrie chimiche e le industrie agroalimentari che sono all’origine del degrado del suolo e dell’inquinamento delle acque? Assisteremo all’abolizione a livello europeo del principio “chi inquina paga” ed all’adozione del principio “inquinare è reato, è proibito”? 

E che dire delle misure per la ripresa? L’UE  approfitterà per riconvertire molte attività militari e inquinanti in attività per la pace e l’ambiente e sostituirà l’agricoltura intensiva per l’esportazione con agricoltura contadina e locale per l’alimentazione sostenibile?

Come cambierà il sistema finanziario?  Cercherà l’UE di ripubblicizzare le casse di risparmio e le cooperative agricole e degli alloggi? Manterrà la totale privatizzazione delle banche e delle assicurazioni, la legalità dei prodotti derivati? Avrà sempre grandi difficoltà a realizzare una vera armonizzazione fiscale europea giusta e trasparente? Lascerà intatti i paradisi fiscali? Continuerà nel suo seno a lasciare gli Stati membri farsi concorrenza spietata per ridurre le tasse per attirare nei loro paesi le sedi sociali delle grandi multinazionali (pratica adottata con grande successo dal Lussemburgo, specie durante gli anni in cui il governo fu presieduto da un primo ministro diventato presidente della Commissione europea)?

Favorirà acriticamente la digitalizzazione non solo dell’economia ma anche della società europea? Sembra che l’Europa militare (ricerca comune, esercito europeo…) del presidente francese Macron stia prendendo piede. L’UE del New Green Deal sarà invece in grado nei prossimi cinque anni di lavorare per una Alleanza per la Pace Mondiale?

Oggi le risposte a queste domande non esistono, non figurano all’ordine del giorno dell’agenda europea dei prossimi anni. In questo senso, la Recovery Road Map sembra concepita secondo il principio “the future is back” per realizzare un ritorno a come prima, ad una guarigione per ridiventare come prima, ad una ripresa del mondo come era prima. Uno stesso mondo destinato, pero’, a diventare ancor più militarizzato, tecnocratico,  privatizzato, oligarchico, mercificato, robotizzato, digitalizzato, chimicizzato, per cui ancor più ingiusto, inuguale, inaccettabile, intollerabile.

Occorrerà impegnarsi come cittadini per far sì che le opportunità offerte possano essere trasformate in leve per un’Europa differente desiderata ed amata dai nostri figli e nipoti.

Riccardo Petrella, Bruxelles, 24 aprile 2020

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Riccardo Petrella – Dal 1978 al 1994 ho diretto in seno alla Commissione europea della Comunità europea l’équipe di prospettiva sulla scienza e la tecnologia FAST (Forecastina and Assessment in Science and Technology) il cui compito era di studiare e valutare le conseguenze economiche e sociali della scienza e della tecnologia e su queste basi formulare  delle proposte per la politica europea della scienza e della tecnologia.  
A dire il vero, non posso affermare che ci hanno dato molto ascolto. Abbiamo fatto lavorare insieme  ed in piena autonomia più di 250 istituti universitari di ricerca europei e prodotto dozzine di dossiers strategici, assai ben fondati sul piano scientifico, ma non siamo riusciti a far cambiare la rotta politica dei politici e dei grandi capi  d’impresa europei, tutti fanatici turiferari della sottomissione della scienza e della tecnologia all’ideologia /imperativo della crescita economica e della competitività su scala mondiale, anche negli anni di Jacques Delors imperante