By George Friedman* – Geopolitical Futures
La Bielorussia, le cui recenti elezioni stanno facendo scalpore attraverso i media, è da tempo un focolaio in sospeso in Europa. Le ragioni sono sia storiche che geografiche.
Dal XVIII secolo, la sicurezza nazionale della Russia dipende dalle zone cuscinetto a ovest e a sud. Durante questo periodo, ha affrontato quattro grandi invasioni: dalla Svezia, alleata con la Polonia e la Turchia, a sud, dalla Francia, attraverso la Pianura del Nord Europa, e dalla Germania, due volte, attraverso la Polonia e l’Ucraina.
Tre cose hanno salvato la Russia in tutte e quattro le invasioni. Per prima cosa la distanza che ogni invasore doveva superare per poter raggiungere il cuore russo. In secondo luogo il lungo e duro inverno, che ha a sua volta reso difficile l’approvvigionamento, il movimento e la sopravvivenza. Infine il massiccio anche se scarsamente addestrato esercito russo.
Il presidente russo Vladimir Putin ha definito la caduta dell’Unione Sovietica il più grande disastro geopolitico della storia. È certamente vero per la Russia, perché l’ha privata delle sue zone cuscinetto. I Baltici furono integrati nella NATO, invece in Ucraina, una rivolta politica che Mosca disse essere stata organizzata dagli Stati Uniti, venne istituito un governo filo-occidentale. Per dare a questi cambiamenti un senso della misura possiamo pensare che, durante la Guerra Fredda, il più vicino membro della NATO era a quasi 1.000 miglia (1.600 chilometri) da Leningrado (ora St. Petersburg). Ora è a 100 miglia dalla città.
Il problema non è se la NATO o gli Stati Uniti intendano attaccare. È che con il tempo le intenzioni cambiano. La Russia, come qualsiasi altro paese, non condona le eventuali contro di sé. In effetti, il movimento verso est della NATO, e in particolare degli americani, ha creato minacce alla Russia da parte dei paesi baltici e dell’Ucraina. Se l’Ucraina fosse stata integrata in una coalizione guidata dagli Stati Uniti e completamente armata, le forze ostili sarebbero rimaste a meno di 700 miglia da Mosca. La Russia non poteva tollerare tutto questo, così si impadronì della Crimea, mettendosi quindi in condizione di minacciare il continente ucraino e bloccarne i porti, inviò poi le sue forze speciali in Ucraina orientale per innescare una rivolta filo-russa. La rivolta fallì, ma comunque divise l’Ucraina abbastanza da costringere il governo centrale di Kiev a ritirarsi dal confine con la Russia.
Mosca sapeva che perdere l’Ucraina l’avrebbe lasciata vulnerabile ad attacchi futuri, ma sapeva anche che gli Stati Uniti non desideravano un conflitto totale. Così giunsero a un’intesa non scritta secondo la quale i russi avrebbero contenuto l’insurrezione nell’Ucraina orientale e gli Stati Uniti non avrebbero dato all’Ucraina armi offensive. In sostanza, la zona cuscinetto non era più sotto il controllo russo, ma dava comunque alla Russia la profondità strategica di cui avrebbe avuto bisogno per rispondere in caso di violazione dell’accordo.
E così arriviamo in Bielorussia, intorno alla quale si è svolto tutto il dramma della guerra fredda. Se le forze degli Stati Uniti avessero mai occupato la Bielorussia, sarebbero state in grado di minacciare direttamente il cuore russo (Smolensk, una città profondamente all’interno del territorio sovietico, sarebbe diventata una città di confine.) D’altra parte, se le forze russe avessero preso il controllo della Bielorussia e fossero state dispiegate sul confine occidentale, sarebbero state in grado di minacciare direttamente la Polonia, e quindi il resto dell’Europa. Dopo tutto, limitate forze americane erano già schierate in Polonia, qualcosa che avrebbe potuto scoraggiare la Russia o portare a una grande guerra.
La neutralità della Bielorussia è quindi sempre stata estremamente importante per la NATO. Ma è più complicato per la Russia. Da un lato, eliminare una potenziale minaccia in Bielorussia è una priorità estremamente elevata per Mosca. Dall’altro, ingaggiare gli Stati Uniti in un combattimento diretto e occupare il territorio della NATO, non lo è.
La Russia ha resistito alla tentazione di minare la neutralità bielorussa, anche se ha utilizzato le esigenze economiche di Minsk per i propri interessi. Non volendo far parte né dello stato russo né di quello occidentale, il presidente Alexander Lukashenko ha attentamente bilanciato le due cose, e lo ha fatto controllando strettamente la politica interna e intimidendo i suoi nemici politici. Da qui il motivo per cui è al potere dal 1994. L’idea che i bielorussi siano sconvolti per il suo continuo successo elettorale non è ben chiara. Molti lo sono, altri non lo sono, e altri ancora ne sono indifferenti. Per la maggior parte, comunque, Lukashenko è stato accettato e la vita è andata avanti.
Le elezioni di questo fine settimana sono diverse. C’è una sostanziale opposizione al rinnovato presidente, talmente forte che un suo candidato rivale è finito per essere arrestato. Era chiaro che Lukashenko era nervoso per le elezioni. Era particolarmente arrabbiato con i russi, sostenendo che avevano inviato paramilitari nel paese, e insinuando che stavano tentando di animare la loro rivolta in piazza Maidan.
È interessante che Lukashenko stia incolpando la Russia. Forse perché ha ritenuto che l’opposizione fosse liberale e avrebbe rifiutato l’idea dell’assistenza russa. Forse la Russia sta cercando di avvertire la Bielorussia che l’Occidente non controbilancia la Russia. O forse ha ragione, e la Russia sta cercando di reclamare una zona cuscinetto altrimenti neutrale.
In ogni caso, Lukashenko ha portato a casa una vittoria schiacciante, senza alcuna sorpresa. Il problema ora non è se questo innescherà una rivolta, ma quanto le potenze esterne, in particolare la Russia, possano lavorare per ridefinire la politica regionale. Dal punto di vista della Russia questa sarebbe una buona opportunità. Le elezioni presidenziali USA distraggono sempre gli americani e l’Unione europea sta litigando con se stessa per i le conseguenze economiche del coronavirus. La Polonia temerebbe tale eventualità, ma non avrebbe la capacità di agire.
I leader cambiano, ma la geografia no. Le elezioni sono spesso meno interessanti delle conseguenze.
—————————
*George Friedman (in ungherese: Friedman György, 1º febbraio 1949) è un politico e stratega ungherese naturalizzato statunitense e stratega in materia di affari internazionali. È fondatore e presidente della Geopolitical Futures, un sito online che analizza e prevede il corso degli eventi globali.