Trump ha annunciato il ritiro delle truppe USA dalla Somalia, in linea con il suo programma di disimpegno in politica estera.
di Alice Minati – OTHERNEWS
Lo scorso 5 dicembre Donald Trump ha annunciato il ritiro delle truppe USA in Somalia e gran parte del contingente americano tornerà a casa. L’annuncio è stato seguito da rassicurazioni del Pentagono che il riposizionamento americano non coincide con “il ritiro o il disimpegno americano” dall’Africa o dalla regione del Corno d’Africa. Questa decisione fa seguito all’annuncio del dimezzamento delle truppe americane in Afghanistan (da 5000 a 2500) e in Iraq (da 3000 a 2500).
Il contingente americano di 700 uomini verrà, secondo le ultime indicazioni, redistribuito nei paesi limitrofi, in particolare Kenya e Gibuti, da dove le truppe americane potranno intervenire e controllare il territorio somalo attraverso operazioni transfrontaliere. Solo una piccola parte del contingente rimarrà nella capitale Mogadishu. I portavoce hanno sottolineato che il diverso dispiegamento delle forze non è sintomo di un cambio nella politica americana. Da quanto emerge dalle dichiarazioni ufficiali, gli Stati Uniti manterranno la capacità di condurre mirate operazioni antiterrorismo in territorio Somalo e attività informative per contrastare le minacce alla madrepatria.
Il sostegno delle forze speciali somale
Il contingente americano era impegnato in attività di addestramento, formazione e attività di informazione sul territorio somalo al fine di piegare e controllare i combattenti islamici di Al-Shabaab. Certamente, a soffrire di più del ritiro americano sono, oltre al contingente di peacekeeping dell’African Union che si appoggiava in molti casi all’expertise americana, le forze speciali somale, i Danaab o Lightning Brigade, un’elite di circa 1000 uomini che sono state seguite sin dalla loro formazione nel 2013 dagli specialisti americani. I soldati americani hanno addestrato le forze speciali somale in attività di antiterrorismo, armandoli e accompagnandoli nei raid contro i terroristi islamici di Al-Shabab. L’assistenza americana è risultata fondamentale, ne è prova l’efficacia raggiunta da questa forza di elite. Il col. Ahmed Abdullahi Sheikh, comandante di Danaab dal 2016 al 2019, si aspetta che le forze americane continuino a finanziare e armare il reparto di elite delle forze somale. Tuttavia, il ruolo cruciale di “advise-and-assist” svolto dagli specialisti americani nel pianificare, portare a termine raid antiterrorismo e partecipare agli scontri a fuoco, sarà difficile da sostituire, per la mancanza di un contingente importante sul territorio. Invece, gli attacchi mirati tramite i droni – in costante aumento dalla Presidenza Obama – saranno garantiti dalla basi transfrontaliere di Kenya e Gibuti.
La minaccia costante di Al Shabaab
Il gruppo terroristico islamista Al-Shabaab è emerso nel 2007 e ha giurato fedeltà ad al Qaeda nel 2012. È riuscito a radicarsi nella società somala, controllando grandi fette di territorio, dettando legge con il sangue e in nome di una ferrea legge islamica. Oltre a imporre il terrore in Somalia, il gruppo Al Shabaab è una base di al Qaeda in Africa, organizza i miliziani ed è stata la base logistica di molteplici attentati anche al di fuori della Somalia.
La Somalia, terra fertile dove carestia, instabilità politica, povertà e terrorismo sono “endemiche”, è un territorio difficile da presidiare. Gli stessi americani, ritiratisi dopo la disastrosa operazione militare passata alla cronache come “Black hock down” e le continue perdite subite nelle attività di antiterrorimo, hanno mostrato serie difficoltà nel controllare la regione e le milizie islamiche insediatesi.
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Il ritiro delle truppe USA e il ridimensionamento dell’impegno americano nel mondo
L’annuncio del ritiro delle truppe USA dalla Somalia e l’ordine di Trump di ritirare i contingenti anche da altri paesi contrasta con l’orientamento dell’ex segretario alla difesa e capo del Pentagono Mark Esper, licenziato subito dopo l’esito delle elezioni presidenziali, il quale si era dichiarato favorevole al mantenimento delle truppe americane nel paese africano.
La decisione di Trump non sorprende gli analisti, sebbene da più parti si contesti che l’annuncio del ritiro delle truppe statunitensi non poteva arrivare in un momento peggiore per la Somalia e la regione del Corno d’Africa. Tra poco più di un mese i Somali si recheranno alle urne: il ritiro americano può galvanizzare gli islamisti di Al Shabaab e gettare un’ombra sui rapporti di forza che si stabiliranno il giorno dopo le elezioni. Lo stesso presidente uscente, pur non giudicando nel merito la scelta americana, ha fatto cenno al delicato momento a cui il paese sta andando incontro. Oltre alla Somalia, perenne elemento di destabilizzazione della regione del Corno, in Etiopia è in atto un duro scontro interno nel Tigrai tra gli indipendentisti del nord e il governo centrale. D’altronde, gran parte del contingente di peacekeeping dell’African Union è composto da soldati etiopi che, se richiamati alle armi in patria, diminuirebbero sensibilmente le forze impegnate nella stabilizzazione del territorio somalo. Si tratta quindi di un momento difficile per una regione tra le più complicate d’Africa. Nonostante l’eccezionalità della situazione, la Somalia è da molti considerata un territorio in cui “qualsiasi momento è un momento difficile per andarsene”.
Il ritiro delle truppe è previsto per il 15 gennaio, cinque giorni prima della cerimonia di insediamento di Biden alla Casa Bianca. È molto probabile che il Presidente eletto non sovverta la scelta di ridimensionare l’impegno americano in Afghanistan, Iraq e Somalia, a meno che nuovi eventi sulla scena internazionale non modifichino il presente scenario. L’obiettivo di porre fine alle “endless wars” americane, riportando a casa risorse umane e finanziarie che questo impegno comporta, ha accomunato – non solo a parole – tutti i Presidenti e i candidati presidenti da Bush junior in poi.
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