Iran, in vigore le limitazioni alle ispezioni nucleari

Sono entrate in vigore in Iran le limitazioni alle ispezioni nucleari dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu (Aiea). Mentre l’Iran continua la sua offensiva contro gli Usa, la nuova amministrazione Biden cerca l’accordo a parole ma nei fatti dimostra intenti tutt’altro che conciliatori.

di Gianfranco Maselli– OTHERNEWS

Iraniani calpestano la bandiera statunitense

Non è certo da noi lasciare a metà una “spy story” dove gli attori principali sono uno scienziato assassinato, delle conseguenze legislative dagli orizzonti ambigui e un paese sempre più armato fino ai denti.

Avevamo già parlato di Nucleare in Iran qualche mese fa, dopo l’uccisione di Mohsen Fakhrizadeh, direttore generale del programma nucleare iraniano. Oggi aggiungiamo un nuovo capitolo ad una storia dalle tinte sempre più fosche.

Le nuove limitazioni alle ispezioni nucleari ONU in Iran

Dopo l’approvazione parlamentare della legge che ha obbligato l’Agenzia dell’energia atomica iraniana a tornare ad arricchire l’uranio al 20% sono arrivate le tanto attese limitazioni alle ispezioni nucleari dell’ONU nelle centrali del paese.

Le ispezioni nucleari dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica in Iran non verranno completamente proibite come si vociferava mesi fa ma proseguiranno con delle restrizioni.

Teheran ha infatti annunciato l’interruzione dell’applicazione volontaria del protocollo aggiuntivo al Trattato di non proliferazione nucleare (Npt), in assenza di una revoca delle sanzioni statunitensi che il paese attende da tempo.

La decisione era stata comunicata all’Agenzia Onu già dallo scorso 15 febbraio ma merita di essere tuttavia approfondita.

In cosa consistono queste limitazioni alle ispezioni nucleari in Iran?  

A partire dal 2019 l’Iran ha cominciato gradualmente a superare i limiti posti alle sue attività nucleari. La decisione è ovviamente una risposta all’intenzione degli Usa di Trump di uscire dall’intesa, manifestata un anno prima.

In merito proprio all’intesa nucleare stipulata nel 2015, l’Iran ha annunciato da mesi di voler interrompere l’applicazione volontaria di un protocollo aggiuntivo presente nell’ accordo.

Questo consentiva agli ispettori di effettuare visite, anche a sorpresa, presso le installazioni non dichiarate nelle quali c’era il sospetto che ci fosse uranio arricchito.

L’Iran e l’Aiea, l’agenzia nucleare dell’Onu, hanno concordato dunque un nuovo regime di verifica del programma nucleare, più limitato ed esteso ad un periodo di soli tre mesi.

Lo ha annunciato il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi, al suo ritorno a Vienna da una visita di due giorni a Teheran. Qui ha incontrato i principali negoziatori nucleari iraniani.

“Avremo meno accesso (rispetto ad ora), dobbiamo essere onesti, ma conserviamo un accesso sufficiente”, ha detto Grossi parlando nell’aeroporto della capitale austriaca.

Il direttore generale dell’ Aiea, Rafael Grossi

Non è un caso, tuttavia, che la decisione di limitare le ispezioni nucleari in Iran coincida con una legge che ha fatto parecchio discutere. Questa obbliga il governo del presidente Hassan Rouhani, a prendere misure importanti come ritorsione per la morte dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh.

La legge costringe l’Agenzia dell’energia atomica iraniana a tornare ad arricchire l’uranio al 20%. Si tratta di un picco altissimo la cui ultima testimonianza risale al periodo antecedente all’accordo sul nucleare tra Iran e alcuni paesi occidentali. Sembra che il paese stia tornando ad armarsi pesantemente.

Che ruolo hanno in tutto questo gli Stati Uniti?

La proposta di rallentamento del programma nucleare iraniano in cambio della rimozione di sanzioni imposte sull’economia dell’Iran non sembra dunque aver retto per molto tempo. In tutta sincerità non c’è molto da sorprendersi del disfacimento degli accordi, soprattutto se consideriamo i recenti sviluppi attorno alla relazione fra Usa e Iran.

Tutt’oggi Teheran afferma di essere pronta a tornare nei limiti quando Washington revocherà le sanzioni imposte dall’amministrazione Trump.

L’arrivo alla Casa Bianca della nuova amministrazione Biden potrebbe certamente rappresentare la svolta migliorativa di un orizzonte pesantemente peggiorato sotto la precedente presidenza. Fra i due paesi, tuttavia, continua a soffiare un’aria tutt’altro che di conciliazione.

Il raid statunitense in Siria Occidentale

Lo scorso giovedì 25 febbraio, infatti, gli Stati Uniti hanno effettuato attacchi aerei contro precisi edifici nella Siria orientale.

Questi, secondo il Pentagono, appartenevano a milizie sostenute dall’Iran, responsabili dei recenti attacchi contro personale americano e alleato in Iraq.

La concordia sembra dunque ancora un lido troppo lontano a cui attraccare, nonostante il portavoce del pentagono John Kirby abbia affermato che la ritorsione americana avesse lo scopo di punire gli autori degli attacchi missilistici e non di intensificare le ostilità con l’Iran, con cui l’amministrazione Biden ha cercato di rinnovare i colloqui sull’ accordo nucleare che il presidente Donald J. Trump aveva accantonato.

Un loop sempiterno?

L’amministrazione USA sembra essere pronta ad avviare una trattativa diplomatica con l’Iran per poter rientrare nell’accordo JPCOA soltanto a parole. Nel concreto della sua politica estera sembra invece aver scelto una strada diametralmente opposta.

In questa rinnovata tensione, l’attacco americano non può che leggersi come una risposta ad un Iran che continua ad armarsi fino ai denti da mesi, come replica alle sanzioni statunitensi e come reazione ad un passato che non si riesce a mettere da parte facilmente.

Manifestanti iraniani bruciano una bandiera americana durante le proteste per l’omicidio del generale Soleimani

Non sono certo le recenti sanzioni statunitensi a bruciare davvero. Fa ancora male, piuttosto, la vecchia ferita del colpo di Stato della CIA contro Mossadeq del lontano 1953 le cui conseguenze, come in una tragedia greca, sembrano trascinarsi di generazione in generazione, fino al presente.

La stessa morte del generale Qasem Soleimani, firmata dall’amministrazione Trump nel gennaio 2020, sembra aver ravvivato la cicatrice mai rimarginatasi di una mancata stagione di rinascita, indipendenza economica ed emancipazione.

Il botta e risposta che continua ad alimentarsi dietro una facciata di diplomazia assomiglia sempre di più ad un loop sempiterno destinato a restare invariato, nonostante le forze politiche al suo interno cambino. Tornare al tavolo dei negoziati soltanto a parole potrebbe non essere sufficiente a scioglierlo.