Continuano le proteste in Myanmar, almeno 38 i manifestanti uccisi mercoledì durante le contestazioni, circa 1700 gli arresti. La Birmania non si ferma, ma non si ferma neanche la brutale repressione da parte dell’esercito.
di Naomi Di Roberto – OTHERNEWS
A quasi un mese dal colpo di stato, continuano in maniera sempre più accesa le proteste in Myanmar. Mercoledì è stato forse il giorno più violento e sanguinoso, o almeno così ha affermato Christine Schraner Burgener, inviata speciale dell’Onu nel Paese, giorno in cui hanno perso la vita ben 38 manifestanti birmani. Secondo quanto dichiarato dai testimoni, le forze dell’ordine avrebbero utilizzato gas lacrimogeni ed aperto il fuoco contro la folla.
Tra le richieste dei manifestanti c’è la liberazione della ex leader del Myanmar Aung San Suu Kyi, arrestata il 1 febbraio dopo il colpo di Stato da parte dell’esercito. Ma anche il ritorno alla legalità, rispetto dell’esito delle elezioni dello scorso novembre, democrazia.
Proteste in Myanmar: tra i morti anche Angel, icona della lotta per la democrazia
A Mandalay la polizia ha deciso di aprire il fuoco per fermare a tutti i costi le manifestazioni. Tra i morti, anche Kyal Sin Angel uccisa durante un corteo proprio per mezzo di un colpo di pistola alla testa. La ragazza aveva solo 19 anni e indossava una maglietta con su scritto “andrà tutto bene”. Ma sapeva che poteva anche non andar bene, tanto da lasciare testamento sui social indicando non solo il suo gruppo sanguigno, ma chiedendo anche che, qualora fosse morta, i suoi organi venissero donati.
Un camion coperto di fiori ha guidato il corteo funebre, migliaia di persone in lutto hanno cantato gli slogan anti-golpe, su uno striscione si legge la parola “eroe“.
Le immagini di Angel, ballerina e campionessa di taekwondo, nota per la sua tenacia, hanno invaso i social facendo il giro del mondo e l’hanno resa la nuova figura simbolo della lotta per la democrazia in Birmania.
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La condanna internazionale
Dopo l’accaduto dei giorni scorsi, il Presidente americano Biden ha rinnovato la condanna nei confronti del colpo di Stato. Secondo quanto riportato da Reuters, Washington ha anche sottoposto il Myanmar a restrizioni sul controllo delle esportazioni per “uso militare”.
Sulla stessa scia, anche Macron prende nuovamente le parti della Birmania sul suo profilo Twitter: “La Francia chiede di mettere immediatamente fine alla repressione in Birmania, che siano liberate le persone arrestate e rispettata la scelta democratica del popolo birmano espressa nelle ultime elezioni. Siamo al vostro fianco”.
Il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, sullo stesso social, ricorda che l’obiettivo principale è proprio quello di fermare il ciclo di violenza contro i manifestanti pacifici e ripristinare il processo democratico. “L’uccisione di civili innocenti può e non resterà impunita. L’UE sta preparando misure contro i responsabili” conclude.
Michelle Bachelet, alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani ha chiesto più volte di porre fine alla feroce violenza attuata contro i manifestanti. Oggi, 5 marzo, si terrà inoltre una riunione straordinaria proprio del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Birmania in black-out
Da quando l’esercito ha preso il potere, numerosissime sono state le proteste e gli atti di disobbedienza civile da parte della popolazione della Birmania. Allo stesso tempo, brutali sono state anche le repressioni da parte delle forze militari che negano ancoraggi libertà di pensiero e parola, nonché di informazione.
Un esempio lampante è il blocco dei provider internet per l’accesso ai principiali social network (Facebook, Whatsapp ed Instagram). Il fine è quello di limitare a tutti i costi i messaggi di dissenso generale, la diffusione di informazioni, la possibilità di organizzare nuovi cortei. I militari si sono anche concessi ampi poteri sulla censura, nonché la possibilità di arrestare i dissidenti rilevati online.
NetBlock, che monitora i blackout di Internet in tutto il globo, ha confermato che la rete web in Birmania è stata oscurata per la 17esima notte consecutiva, e che la connettività è scesa al 14% dei livelli ordinari. Varie città del Paese sono rimaste addirittura senza luce elettrica, tra i problemi segnalati anche le comunicazioni telefoniche. Il blackout è iniziato a Yagon, alle 13 dell’ora locale, per poi proseguire in diverse città del Paese.
Nuove accuse per Aung San Suu Kyi
Lunedì scorso, il tribunale birmano ha presentato nuove accuse contro Aung San Suu Kyi, ex capo del governo nel Myanmar. La donna, leader della Lega Nazionale per la Democrazia, è stata arrestata il 1 febbraio dopo il colpo di Stato da parte dell’esercito, con non poche accuse:
- aver interagito con la folla durante la pandemia, e quindi di aver violato la legge sulla gestione dei disastri naturali;
- aver violato la legge import-export. Nello specifico, l’accusa ritiene che la donna abbia importato illegalmente dei walkie-talkie e che questi siano stati utilizzati senza permesso dalle sue guardie del corpo.
A queste, secondo quanto il suo avvocato ha dichiarato a Reuters, si è aggiunta anche l’accusa di aver pubblicato informazioni che “potrebbero causare timori o allarmi”. L’avvocato, inoltre, ha affermato di aver visto la donna in video durante il processo, sembrerebbe in buone condizioni di salute.
Il perché delle proteste
Facciamo un passo indietro.
Il golpe in Birmania inizia il 1 febbraio, giorno in cui l’ ex leader del governo Aung San Suu Kyi viene arrestata. Il Partito della donna aveva ottenuto un fortissimo successo alle elezioni di novembre 2020 riuscendo a conquistare più dei 322 seggi necessari per formare un nuovo governo. Dopo 10 anni di fragile democrazia, torna però al potere la giunta militare. E questa volta a guidare il colpo di Stato è stato proprio il capo delle forze armate Aung Hlaing il quale, ad oggi, è la figura al vertice del nuovo gabinetto.
Sono così iniziate diverse manifestazioni di dissenso e resistenza. Tra quelle più d’impatto abbiamo la “rivolta delle pentole”: un concentro di percussionisti per libertà e democrazia. La popolazione di Yangon, ex capitale della Birmania, ha tentato infatti di far sentire la propria voce battendo su pentole, coperchi e bottiglie di plastica, accendendo candele rosse ed alzando al cielo le tre dita della mano (simbolo delle proteste).
Nonostante l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Coronavirus, a più di un mese dal golpe, le proteste in Birmania non hanno intenzione di fermarsi. E non si fermano neanche le repressioni, sempre più violente e sanguinose.
La popolazione, ormai stanca di veder negati tutti i propri diritti, continua a manifestare senza sosta per la libertà, per il rispetto dell’esito delle elezioni, per la democrazia. In prima linea troviamo i giovani come Kyal Sin Angel, “eroi” senza paura, anzi, la cui unica paura è quella di veder ancora una volta violati i propri diritti.
Ecco un’altra spiacevole pagina del golpe in Birmania, e cosa ne sarà della democrazia?
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