Bandiere rosso-verdi e bianco-rosse per le strade di Minsk

di Guglielmo RezzaOTHERNEWS

Le bandiere adottate dai manifestanti pro e contro Lukashenko rappresentano due differenti giudizi sul passato della Bielorussia e due differenti concezioni del suo futuro

Manifestanti con le bandiere bianco-rosso bianche a Minsk (credit: EPA-EFE/YAUHEN YERCHAK)

Facendo una veloce ricerca immagini sulle proteste di Minsk ci si accorgerà delle molte bandiere bianco-rosso-bianco sventolate dai manifestanti scesi in piazza per le strade della capitale della Bielorussia per manifestare contro Lukashenko. Dalla parte opposta c’è invece la folla rosso-verde mobilitatasi per esprimere il proprio sostegno al Presidente, che si è radunata sotto l’attuale bandiera ufficiale della Bielorussia. L’uso di una bandiera porta sempre con sé delle implicazioni di carattere storico e politico, specialmente se quella bandiera è già stata utilizzata in passato, è questo è anche il caso per entrambe le bandiere sventolate per le strade di Minsk.

La prima di queste due bandiere a nascere è la bianco-rossa, nel corso delle ultime fasi convulse della prima guerra mondiale. La bandiera è quella della Repubblica Popolare Bielorussa, sorta tra le macerie di quello che era stato l’Impero Russo, in quei territori che nel 1918 si trovavano sotto occupazione tedesca. Il primo Stato bielorusso ha tuttavia vita breve e, dopo la sconfitta degli imperi centrali e il ritiro dei Tedeschi, i nazionalisti bielorussi vengono rapidamente sopraffatti dai Bolscevichi, che sanciscono la nascita di quella Repubblica Socialista Sovietica Bielorussa che nel 1922 aderirà all’Unione Sovietica, diventandone una Repubblica Federata. La bandiera rosso bianca riemerse per un breve periodo quando la regione venne nuovamente occupata dai tedeschi, nel frattempo divenuti nazisti, che nel 1943 crearono un’entità fantoccio servendosi di collaborazionisti bielorussi, ma cadde nuovamente col ritorno dell’Armata Rossa.

La nascita della bandiera rosso-verde è invece successiva e principalmente imputabile a necessità “burocratiche”. Quando l’Unione Sovietica, in aggiunta al proprio seggio e al posto fisso nel Consiglio di Sicurezza, riuscì ad ottenere altri due seggi in Assemblea Generale per due delle sue repubbliche federate, ossia Ucraina e Bielorussia, si presentò la necessità di dotare le due repubbliche di due bandiere. Per la Bielorussia si scelsero i colori rosso e verde, con a sinistra un ricamo tipico della tradizione rurale locale e in alto a destra l’immancabile falce e martello, ovviamente. La bandiera in questione rimase invariata per tutta la permanenza della Bielorussia all’interno dell’Unione Sovietica.

Tuttavia, nel 1991, dopo la riluttante dichiarazione d’indipendenza del Paese, si è presentata nuovamente la questione della scelta dei simboli del Paese e come è avvenuto in molti altri Paesi, si decise di optare per qualcosa che ricordasse il passato pre-sovietico del Paese e che nel caso in questione poteva essere solamente la bandiera rosso-bianca.

Perché allora la bandiera attuale è quella rosso-verde? La risposta a questa domanda spiega anche perché le strade di Minsk sono ad oggi invase da manifestanti.

Lukashenko è divenuto Presidente nel 1994 e l’anno successivo, il 1995, si è svolto il referendum che avrebbe tracciato la strada che il Paese ha seguito sino ad oggi. Lukashenko, sotto l’Unione Sovietica, aveva prima servito nell’Armata Rossa ed era successivamente stato nominato a capo di una fattoria collettiva e non aveva mai fatto mistero della propria simpatia verso l’Unione Sovietica. Col voto del 1995, Lukashenko ha voluto cavalcare quel sentimento di nostalgia diffuso nel Paese e affossare gli oppositori nazionalisti. Pertanto, tramite i quesiti del referendum, ai cittadini bielorussi è stato chiesto se fossero favorevoli a conferire alla lingua russa lo stesso status del bielorusso, a promuovere una politica di integrazione economica con la Federazione Russa, a conferire al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento e, infine, a sostituire la bandiera rosso-bianca con la bandiera sovietica rosso-verde, ovviamente edulcorata di falce e martello.

Abbastanza prevedibilmente il referendum è passato e tutti i quesiti sono stati approvati, sebbene l’opposizione ne abbia sempre denunciato la invalidità e anche l’OSCE abbia affermato che il voto non ha rispettato gli standard internazionali. Le proteste non hanno impedito però a Lukashenko di tenere un altro referendum l’anno seguente, con cui è stato cambiato il giorno dell’indipendenza, ripristinata la pena di morte e soprattutto emendata la Costituzione in modo da garantire la permanenza al potere del Presidente sino ad oggi, sostanzialmente ponendo fine alla brevissima e incerta vita democratica del Paese.

Il trionfo del rosso-verde sul rosso-bianco nel 1995 ha sostanzialmente rappresentato il ritorno della Bielorussia al mondo sovietico, di cui Lukashenko è ad oggi uno degli ultimi rappresentanti al mondo: non per niente, tra tutte le repubbliche ex-sovietiche, la Bielorussia è l’unica che ha mantenuto la sigla KGB come nome per i propri servizi di sicurezza e nel Paese si trovano ancora più di 2.000 fattorie collettive. Soprattutto, al contrario di molti altri Stati dello spazio post-sovietico che hanno flirtato a più riprese con l’Occidente e con la NATO, Lukashenko ha voluto rendere esplicita la volontà della Bielorussia di rimanere nell’orbita economica e militare di Mosca.

Oggi, a più di 25 anni di distanza dal voto che sancì tutto ciò, i manifestanti tornano in piazza chiedendo la fine dell’era Lukashenko e un cambiamento radicale: la vera domanda è se ciò sia possibile o meno. Se Lukashenko è riuscito a rimanere al potere per tutto questo tempo è proprio perché ha sempre saputo quale fosse il suo posto sulla scena internazionale e chi fossero, volente o nolente, i suoi alleati.

Il Paese è parte integrante dello spazio russo e il soft power esercitato da Mosca è molto forte. Sebbene la popolazione di etnia russa rappresenti solamente l’8,3% del totale, ben il 70% dei bielorussi parla russo come lingua primaria, relegando il bielorusso a un surreale 23%. La Bielorussia è sia membro sia dello Spazio Economico Comune -sostanzialmente l’evoluzione di un’unione doganale con Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia- che dell’Unione Eurasiatica e, producendo solamente il 15% della proprio fabbisogno energetico, si affida principalmente alla Russia per soddisfare la propria domanda. Inoltre, il Paese è membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, un’equivalente della NATO a guida russa, che obbliga tutti gli Stati membri ad intervenire qualora uno di essi si trovi sotto attacco. L’elenco di trattati, organizzazioni ed elementi fattuali che legano la Bielorussia a Mosca potrebbe andare avanti, ma quanto detto dovrebbe essere sufficiente a delineare il quadro della situazione.

Coloro che sventolano le bandiere rosso-bianche chiedono la fine dell’era Lukashenko e un profondo cambiamento per la Bielorussia, ma difficilmente questo processo potrà avere luogo in maniera indolore. In questi anni Lukashenko ha ricollocato saldamente la Bielorussia in quello spazio post-sovietico da cui il Paese non aveva mai cercato realmente di allontanarsi e per quanto la società civile bielorussa possa essere determinata difficilmente otterrà quello che vuole. Il Presidente ha dalla sua una parte consistente del Paese e soprattutto l’appoggio incondizionato di Mosca, che farà di tutto perché il Paese non sfugga alla sua area di influenza.

PS: no, non ci è sfuggito che la bandiera rosso-bianca è anche talvolta associata all’occupazione del 43-44, ma si è deciso di non tirare in ballo la cosa poiché non è stato sicuramente questo l’uso prevalente che è stato fatto dai manifestanti nel corso delle ultime proteste.