The Sunday Breakfast – 49 – panoramica sui fatti globali della settimana

a cura di Cecilia Capanna

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di Gianfranco Maselli – 14-20 settembre 2020

La Giornata Internazionale della Democrazia, lo scorso 15 Settembre, è stato un momento per tirare le somme sullo stato di salute in cui oggi la democrazia versa. Tuttavia nella nostra storia abbiamo spesso assistito ad un’alternanza di forze opposte: movimento ed equilibrio, rivoluzione e conservazione. Attraverso questi due principi il mondo è stato creato. Attraverso questi due principi raccontiamo i fatti globali che questa settimana coinvolgono Colombia, Malta, Grecia, Afghanistan e Scozia.

PASSI INDIETRO

La goccia che ha fatto traboccare il vaso in Colombia è stata l’omicidio di Javier Ordóñez, l’uomo di 46 anni brutalmente ucciso dalle forze dell’ordine. Dopo essere stato arrestato per presunta violazione delle regole di distanziamento, l’uomo è stato bloccato a terra e poi colpito circa una decina di volte a colpi di taser, fino alla morte.

La pubblicazione del video dell’accaduto, la violenza della polizia e le suppliche di Ordóñez, che tanto rimano con l’ I can’t breath di George Floyd, hanno risvegliato la forza popolare portandola nelle strade colombiane. Negli scontri con la polizia sono morte 7 persone e 248 sono state ferite. La rabbia del popolo non si alimenta soltanto da quanto è accaduto al 46 enne ma anche dalle continue violazioni di diritti umani perpetuate nel paese. Queste hanno risvegliato anche il sentimento anti-colonialista delle popolazioni indigene, che hanno abbattuto la statua del conquistador Francisco Pizarro. Inoltre il governo di Iván Duque Márquez ha cancellato i passi in avanti della precedente amministrazione, macchiandosi di indifferenza nei confronti delle violenze che negli ultimi mesi hanno coinvolto la comunità LGBT del paese e i suoi attivisti. Ce ne parla Naomi Di Roberto. 👇

https://www.other-news.info/notizie/2020/09/19/buco-nero-di-colombia/

LO STATO DELLE COSE

A tre anni dall’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, la situazione nell’isola di Malta non sembra essere cambiata. La corruzione continua a serpeggiare e non si riesce ancora a fare chiarezza sullo scandalo su cui Daphne indagava, il caso dei Panama Papers, i documenti riservati che rivelavano i paradisi fiscali in mano a funzionari pubblici e capi di governo.

Malta, dunque, sembra essere destinata ad uno stato di conservazione ancora lungo ma i risultati degli ultimi interrogatori dell’ex Primo Ministro del partito laburista Robert Abela, avvenuti il 16 e il 18 settembre, potrebbero sovvertire lo stato delle cose. Ripercorriamo lo scandalo dei Panama Papers e facciamo il punto della situazione maltese con la nostra Marlene Simonini. 👇

https://www.other-news.info/notizie/2020/09/19/daphne-caruana-galizia-linchiesta-non-si-ferma-per-ora/

SPESE DA CAPOGIRO

La settimana scorsa ci siamo lasciati con un incontro importante in agenda, quello del vertice dei Paesi del sud dell’Unione Europea in Corsica, in cui Emmanuel Macron avrebbe cercato di mediare fra Grecia e Turchia, le cui relazioni risultano abbondantemente compromesse dalle rivendicazioni che i due paesi portano avanti in materia di diritti di esplorazione e sfruttamento di giacimenti petroliferi e gas naturale. Dopo che Macron, in un incontro con il Presidente greco Mitsotakis prima del vertice, aveva dato piena disponibilità militare e collaborazione alla Grecia, i primi segnali dell’appoggio francese per reggere il confronto contro Ankara non si sono fatti attendere troppo.

Atene scioglie la stasi e sceglie di armarsi fino ai denti. Il paese ha già aumentato di un terzo la sua spesa militare, compilando una lista della spesa bellica da capogiro e lavorando a piani d’appalto di cui la Francia beneficerà particolarmente. Ma perché la Francia e Grecia sono alleate contro la Turchia? Come si sono ritrovate a spalleggiarsi? Esaminiamo la situazione assieme al nostro Guglielmo Rezza.👇

https://www.other-news.info/notizie/2020/09/19/parigi-e-atene-alleati-per-caso/

PASSI AVANTI?

Sempre la settimana scorsa, nella nostra narrazione globale, spiccava il traguardo delle donne Afghane, riuscite ad ottenere il proprio nome sulle carte d’identità. Questa settimana un altro evento di rilevanza storica coinvolge l’Afghanistan, quello delle trattative di pace tra i talebani e il team negoziale del governo afghano, iniziate ieri nello stato arabo del Golfo del Qatar. Si tratta di negoziati tanto difficili quanto storici, e non è solo perché porrebbero fine a decenni di violenza che si consumano fra le due parti sin dall’invasione sovietica del 1979.

Da una parte, infatti, i colloqui possono fornire ulteriori prove di come l’interpretazione della legge della Sharia da parte del gruppo dei talebani sia mutata dagli anni ’90 ad oggi, dall’altra in gioco c’è anche un percorso che porterebbe a riconoscere i diritti delle donne e delle minoranze. I talebani hanno promesso alle donne del paese la possibilità di frequentare le scuole, di lavorare e partecipare alla politica, sempre rispettando i principi islamici. Potrebbe essere un cambiamento storico.

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo, pronto a recarsi in Qatar per assistere all’inizio dei negoziati, ha definito le trattative “un’opportunità storica per l’Afghanistan di porre fine a quattro decenni di guerra e spargimento di sangue” e un grande traguardo per l’America, che riuscirebbe a riportare a casa le sue truppe impegnate nella missione afghana. Il clima di conservazione del conflitto lungo ben 40 anni sembra destinato ad un inversione di marcia. L’esito delle trattative appena iniziate resta però incalcolabile, non ci resta che aspettare.

UN SODALIZIO SECOLARE

In uno stato di rivoluzione perenne sembrava attraversata la Gran Bretagna, in balia di una brexit faticosa che pareva senza fine. Oggi il paese è entrato nel primo tratto di un lungo percorso di assestamento e conservazione del nuovo stato delle cose, mentre la vicina Scozia respira un’aria completamente diversa.

Il sogno di indipendenza scozzese non è mai stato così diffuso come nelle ultime settimane. Oltre la metà degli scozzesi vuole lasciare il Regno Unito e ad alimentare questo desiderio è stato il successo del paese nel gestire l’emergenza del Covid-19 rispetto all’Inghilterra e la radicata ostilità scozzese nei confronti della Brexit.

Adesso il 50% della popolazione vuole che la Scozia diventi un paese indipendente, anelando però una prospettiva tutt’altro che semplice, considerando tutti gli ostacoli burocratici, monetari, economici e procedurali che li attenderebbero dietro l’angolo.

La Scozia perderebbe i benefici che trae dall’unione fiscale che lega il paese all’ Inghilterra, al Galles e all’Irlanda del Nord, dovrebbe subire le conseguenze di confine netto con la Gran Bretagna, rinunciando ad una grande percentuale di scambi commerciali con il paese, e finirebbe per mettere a repentaglio legami sociali importanti come famiglie, amicizie e matrimoni, basati su un’unione fra i due paesi vecchia più di 300 anni. A che prezzo rompere quello che, più che uno stato di conservazione, è un sodalizio secolare che unisce milioni di persone?

Ci fermiamo qui, grazie dell’attenzione, alla prossima settimana.

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