L’escalation nel Caucaso non accenna a fermarsi

di Guglielmo RezzaOTHERNEWS

La questione irrisolta del Nagorno-Karabakh è ancora una volta la ragione del contendere tra l’Azerbaigian, deciso a riprendere il controllo della regione separatista e l’Armenia decisa a difenderla. Questa escalation sembra però particolarmente seria e minaccia di allargarsi, con la Turchia che ha già dato il proprio appoggio incondizionato all’Azerbaigian e la Russia che potrebbe essere costretta a fare una scomoda scelta di campo.

Che vi siano scontri lungo il confine tra l’Azerbaijan e lo stato de facto, non internazionalmente riconosciuto, del Nagorno-Karabakh non è affatto una novità. Tra il 1991 e il 1994 Azerbaigian e Armenia si scontrarono in un feroce conflitto, che vide le truppe azere impegnate nel tentativo di riprendere possesso del territorio del Nagorno-Karaback, dichiaratosi indipendente e sostenuto dall’esercito armeno. A maggio 1994 la Russia riuscì finalmente a mediare un cessate il fuoco, ma la sua implementazione è sempre stata resa difficile a causa di frequenti, anche se spesso limitati incidenti di confine.

L’ultimo scontro di una certa portata, nel 2016, è stata la cosiddetta “Guerra dei 4 Giorni” o “Guerra d’Aprile”, risoltasi la conquista di alcune centinaia -stando alle fonti armene- o migliaia -stando alle fonti azere- di ettari di terreno da parte dell’Azerbaijan e con un arretramento delle truppe armene di circa un chilometro. Le stime vanno sempre prese con cautela, poiché i due Paesi tendono regolarmente a sottostimare le proprie perdite e ad esagerare quelle del nemico, ma hanno entrambi ammesso di aver sofferto la perdita di almeno 60 militari e diversi civili.

Quest’anno i cannoni avevano nuovamente tuonato a luglio, non lungo il fronte del Nagorno-Karabakh, bensì sul vero e proprio confine tra Azerbaigian e Armenia, ma la cosa si era risolta con circa una ventina di vittime e senza alcun esito rilevante.

Gli scontri in corso, cominciati nella giornata di domenica, stanno invece assumendo i connotati di una vera e propria guerra su vasta scala, con impiego di artiglieria, aeronautica e già dozzine di morti. Come al solito non vi è chiarezza su chi abbia sparato il primo colpo, se sia trattato di una provocazione armena o di un’iniziativa premeditata dell’Azerbaijan, ma è lecito affermare che solamente una delle due parti ha potenzialmente da guadagnare da questo conflitto.

Di fatto, l’interesse armeno nella regione è semplicemente quello di preservare lo status quo, congelando i confini tracciati con la vittoria sul campo del 1994, con la maggioranza etnica armena del Nagorno-Karabakh resasi indipendente dall’Azerbaijan e con l’esercito armeno in controllo di ulteriori porzioni di territorio azero utili a difendere lo Stato de facto. Una vittoria in uno scontro aperto con l’Azerbaigian non porterebbe particolari vantaggi ad Erewan, mentre una sconfitta potrebbe costarle parte, se non la totalità del territorio che adesso detiene.

Al contrario, l’Azerbaigian ha tutto l’interesse a rettificare i confini del 1994. La ferita del 1994 è ancora aperta in Azerbaigian e rappresenta ancora oggi un importante argomento di politica interna, poiché il conflitto aveva creato più di 500.000 rifugiati interni impossibilitati a tornare alle proprie case, pari al 7% della popolazione del Paese. Le problematiche relative al reinserimento nella vita sociale e lavorative del Paese e l’enorme portata dell’evento nella memoria collettiva hanno fatto sì che il tema della riannessione del Nagorno-Karabakh rimanesse al centro del discorso politico per tutti questi anni.

Dall’indipendenza dall’Unione Sovietica molte cose sono cambiate e da allora l’Azerbaigian ha conosciuto un’imponente crescita economica grazie alle risorse naturali scoperte nel sottosuolo del Paese: una percentuale di questi proventi è andata a confluire nel budget per la difesa, per cui gli equilibri militari tra Armenia e Azerbaigian si sono spostati a favore del secondo. Già il 2016 aveva rappresentato un importante vittoria morale per le forze armate Paese, che pur a fronte di un avanzamento territoriale irrisorio avevano dimostrato di essere in grado di far arretrare gli armeni.

Alle variabili interne vanno aggiunte quelle internazionali e specialmente il supporto incondizionato espresso della Turchia verso l’avventurismo azero. Nella contrapposizione tra Armenia e Azerbaigian la Turchia è ovviamente stata sempre dalla parte del secondo, sia per via della conflittualità che ha accompagnato i rapporti tra Turchia e Armenia per tutto il XX secolo, che per la fede religiosa comune con l’Azerbaigian, che seppur a maggioranza sciita rimangono pur sempre musulmani. Al di là del dato culturale, va tenuto in considerazione quello energetico, con l’Azerbaigian che è un importante produttore di idrocarburi e la Turchia che è un importatore nonché luogo di passaggio per gasdotti.

L’appoggio turco all’irredentismo azero e l’escalation della tensione infastidisce sicuramente la Russia, che sin dal 1994 si è posta come negoziatore e arbitro tra Armenia e Azerbaigian. La priorità della Russia è quella di mantenere congelato il conflitto, stringendo legami più saldi con l’Armenia, ma mantenendo comunque buone relazioni con l’Azerbaigian, cui comunque vende armi. Una seria escalation della violenza può mettere in difficoltà la Russia, che deve trovare a decidersi se abbandonare l’Armenia, alleato e membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, o se compromettere le proprie relazioni con l’Azerbaigian intervenendo a favore di Erewan.

Evidentemente, finché ce ne sarà modo, la Russia -tra l’altro già impegnata a gestire la crisi in Bielorussia- cercherà di prender tempo, invitando i due Paesi al negoziato e cercando una risoluzione diplomatica del conflitto, ma se la situazione dovesse prolungarsi e la posizione dell’Armenia peggiorare si troverà a dover fare una scelta. Ciò che rimane da appurare è il ruolo della Turchia in questa vicenda, quanto questa abbia a che fare con lo scoppio delle ostilità e in quale misura intenda essere coinvolta nel conflitto, dato che già si vocifera dell’invio dei famigerati mercenari siriani di Erdogan.

In risposta al pesante coinvolgimento turco si è mobilitata anche la Francia, già coinvolta nel confronto con la Turchia nel Mediterraneo, con Macron che ha deciso di far fronte comune con Putin per arginare l’attivismo turco. Tuttavia, sia Armenia che Azerbaigian hanno rifiutato le richieste di un cessate il fuoco avanzate, tra gli altri, da Russia e Francia, mentre la Turchia continua a soffiare sul fuoco.

Armenia e Azerbaigian sembrano, al momento, intenzionati ad andare fino in fondo, confrontandosi in una guerra convenzionale. Ciò che è da appurare è quanto in là si spingerà l’appoggio turco all’Azerbaigian e sino a qual punto i contendenti saranno disposti a lasciarsi coinvolgere in questa spirale di violenza, dato che sino ad ora sono stati respinti tutti gli appelli internazionali alla pace e al dialogo.