- di Fernando Ayala – TRECCANI
Un trionfo storico è stato ottenuto dal popolo cileno con il risultato del referendum del 25 ottobre: 78,27% per l’approvazione e 21,73% per il rifiuto, mentre la Convenzione costituente, cioè il 100 per cento dei rappresentanti eletti per redigere la nuova costituzione, ha ottenuto il 78,99% e chi ha sostenuto una Convenzione mista – composta dalla metà degli attuali parlamentari e un’altra metà eletta – ha raggiunto il 21,01%. L’affluenza alle urne ha raggiunto il 51%.
Un traguardo storico è stato raggiunto dal popolo cileno con il risultato del plebiscito dello scorso 25 ottobre: il 78,27% dei votanti si è espresso a favore e del cambiamento, mentre la scelta di convocare una Convenzione costituente, con il 100% dei rappresentanti eletti per scrivere la nuova Costituzione, ha ottenuto il 78,99% contro l’opzione che sosteneva l’ipotesi di una Convenzione composta per metà dagli attuali parlamentari e per un’altra metà dagli eletti e che si è fermata al 21,01%. La partecipazione è stata del 51% degli elettori.
I festeggiamenti e le manifestazioni di gioia per i risultati sono stati numerosi in tutto il Paese, mentre il governo di Sebastián Piñera si adoperava per tranquillizzare i suoi sostenitori, molti dei quali avevano votato a favore della fine della Costituzione approvata sotto la lunga notte della dittatura di Augusto Pinochet.
Anche i ministri del suo gabinetto si sono divisi tra chi ha sostenuto l’idea di una nuova Carta fondamentale e chi proponeva di riformarla. In queste ore il presidente dovrà decidere se continuare a governare con loro o chiederne le dimissioni. Si tratta di una decisione complessa, soprattutto per chi deve mostrare il volto del Cile all’estero, come il ministro degli Affari esteri Andrés Allamand, un conservatore andato all’estrema destra che si è opposto a una nuova Costituzione.
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Nonostante la pandemia di Covid-19 e la campagna di terrore lanciata dalla destra attraverso i media e i social network, con l’accusa rivolta all’opposizione di complicità negli episodi di violenza verificatisi negli ultimi mesi, la gente ha preferito schierarsi a sostegno del principio di dignità, per il quale aveva massicciamente manifestato nei mesi scorsi chiedendo maggiore uguaglianza nell’istruzione, nella sanità e nelle pensioni, oltre a richieste ormai storiche come la proprietà pubblica dell’acqua e il rispetto dei diritti umani, violati dalla repressione poliziesca dell’attuale governo. Durante i diciassette anni della dittatura del generale Pinochet, la destra non ha mai alzato la voce contro le violenze senza precedenti che hanno visto morire migliaia di persone, sparire nel nulla, assassinati all’estero, torturati ed esiliati molti cileni. La destra è stata complice della pagina più nera della storia del Paese e oggi alza la voce ammantandosi in un abito immacolato di purezza. Si tratta dello stesso comparto economico e del medesimo schieramento politico che si è arricchito con le finte privatizzazioni e ha approfittato dei militari fino all’ultimo giorno della dittatura per far prevalere un sistema neoliberale estremo e una Costituzione che assicurava loro il controllo politico anche se non erano loro a governare, come ha sottolineato uno dei loro principali ideologhi.
La violenza ha causato grandi cambiamenti nel corso della storia. La Rivoluzione francese è un buon esempio del prezzo da pagare perché si impongano gli ideali della democrazia, della separazione dei poteri e della fine dell’assolutismo. Le lotte per l’indipendenza in America, compresa quella degli americani contro gli inglesi o le guerre contro l’impero spagnolo in tutto il continente, ne sono la prova. Nel caso del Cile bisogna riconoscere che la coalizione conservatrice che sostiene il presidente Piñera non avrebbe mai accettato un plebiscito se non ci fossero state le violenze dopo le proteste del 18 ottobre 2019. In un paio di settimane, più di 20 stazioni della metropolitana di Santiago sono state bruciate, decine di supermercati in diverse città sono stati saccheggiati, così come piccoli negozi e farmacie; si sono verificati ripetuti attacchi alle stazioni di polizia e c’è stata una repressione da parte delle autorità che ha lasciato una scia di morti e centinaia di persone ferite e con danni permanenti agli occhi. Un regime democratico non può tollerare o giustificare la violenza perché infrange la regola principale di una società, che è quella di garantire la sicurezza dei cittadini. Né è permesso che un governo giustifichi o non sanzioni le violazioni dei diritti umani ‒ come è successo nell’ultimo anno – compiute dai tutori dell’ordine pubblico, come i carabineros del Cile. È quindi essenziale rispettare lo Stato di diritto e garantire il corretto comportamento delle forze dell’ordine, alle quali viene concesso il monopolio dell’uso delle armi.
La strada verso una nuova Costituzione ha fatto il suo primo passo, ma non illudiamoci. Le frange più dure della destra continueranno a opporre resistenza, tenteranno di ostacolare il processo avviato e, naturalmente, si sono già dette contrarie a includere i popoli indigeni, che rappresentano il 12% della popolazione cilena, nell’elezione dei costituenti su base proporzionale. Non hanno ancora accettato il carattere plurinazionale del Paese, ma la loro sconfitta nel plebiscito è stata così profonda che il potere negoziale della coalizione si è fortemente indebolito.
Per l’elezione dei costituenti si combatterà una dura battaglia, dove molte risorse economiche saranno utilizzate per evitare che si formi la maggioranza dei due terzi necessaria per l’approvazione dei provvedimenti, e quindi per conservare gli spazi necessari a garantire valori e visioni ideologiche. Una volta eletti i membri dell’Assemblea costituente, questi avranno nove mesi di tempo per redigere quella che sarà la Carta fondamentale, con una proroga eventuale di altri tre mesi. Tutte le risoluzioni dovranno essere approvate dai due terzi dei costituenti: per questo motivo l’elezione dei 155 membri, metà uomini e metà donne, sarà fondamentale. Tempi difficili si prospettano per il governo e la destra, ma anche per l’opposizione del centro e della sinistra, divisi nelle eterne contese che da sempre li caratterizzano, nonostante il giudizio dei cittadini sia stato implacabile con tutti i partiti politici, di una parte o dell’altra.
Il centro-sinistra cileno, come in molti altri Paesi, è alla disperata ricerca di un o una leader con una visione da statista, che possa fare da guida, con uno sguardo lungo al futuro e che sappia proporre un programma che comprenda i sogni e le aspirazioni della stragrande maggioranza che chiede a gran voce una società più giusta. Non sarà facile, la sfida è enorme perché richiede una guida che garantisca una crescita economica sostenibile e risponda alle molteplici richieste dei più diversi settori della società cilena.
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