In Spagna eutanasia legalizzata: il Parlamento approva con 202 favorevoli e 141 contrari. Mentre la maggioranza e il presidente Sánchez esultano, la Chiesa si oppone.
di Rosarianna Romano – OTHERNEWS

A un anno dall’inizio dell’iter parlamentare, giovedì 18 marzo la Spagna ha approvato la legge sull’eutanasia. Il testo, proposto dal Partito Socialista (PSOE) del primo ministro Pedro Sánchez, ha ricevuto la sua approvazione con 202 voti a favore, 141 contrari e 2 astensioni. Si chiude così un percorso cominciato a dicembre, quando il testo era passato alla Camera con 198 sì, 138 no e 2 astenuti.
Sostenuta da un milione di firme raccolte attraverso la piattaforma Change.org e approvata delle forze progressiste dopo vent’anni di battaglie portate avanti dal Partito Socialista, la riforma è stata osteggiata dal partito di estrema destra Vox, che ha già promesso ricorso alla Corte Costituzionale, dal Partito Popolare e dall’Union del Pueblo Navarro, secondo cui la legge renderebbe legale l’omicidio.
Prima dell’approvazione della legge, l’eutanasia “attiva” era vietata dall’articolo 143 del Codice Penale spagnolo, che puniva con il carcere da 2 a 10 anni chi avesse aiutato altre persone a morire.
Inoltre, in 11 delle 17 comunità autonome della Spagna era già permessa la cosiddetta eutanasia “passiva”, la quale, a differenza di quella “attiva”, non prevede la somministrazione di un farmaco da parte dei medici ma solo la sospensione delle cure o lo spegnimento dei macchinari che tengono in vita l’individuo.
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Chi ha diritto all’eutanasia in Spagna
La nuova legge stabilisce che il diritto all’eutanasia può essere esercitato soltanto in caso di «malattie gravi e incurabili» o di «patologie gravi, croniche e disabilitanti», che impediscono l’autosufficienza e che generano «una sofferenza fisica e psichica costante e intollerabile».
In più, il paziente deve essere maggiorenne e cittadino spagnolo (o residente legale nel Paese da almeno 12 mesi) «pienamente consapevole e cosciente» al momento della richiesta di morire, la quale deve essere inviata per iscritto due volte a 15 giorni di distanza l’una dall’altra.
Successivamente, su istanza del medico curante, sarà una commissione, presente in ogni regione e formata da medici, giuristi e infermieri, ad occuparsi dell’autorizzazione definitiva da produrre entro 19 giorni.
Inoltre, in ogni momento il paziente potrà interrompere la procedura e la richiesta, nella quale il malato dovrà dichiarare di conoscere la possibilità alternativa di ricorrere a cure palliative, potrà essere respinta se i criteri non coincideranno in toto con quanto stabilito dalla legge.
Il procedimento per dare il via libera alla “dolce morte” si estende, dunque, per circa cinque settimane. Il paziente dovrà esprimere il proprio consenso in quattro occasioni ed almeno due medici estranei al caso dovranno autorizzarne la richiesta, così da garantire la piena consapevolezza della scelta.
La norma entrata in vigore, inoltre, disciplina l’eutanasia attiva, cioè eseguita attraverso la “somministrazione diretta di una sostanza al paziente da parte del professionista sanitario competente”, l’eutanasia passiva, che comporta la sospensione di un farmaco cosiddetto “salvavita”, e il suicidio assistito, “prescrizione o fornitura al paziente da parte dell’operatore sanitario di una sostanza, in modo che possa auto-somministrarla, per provocare la propria morte”.
Infine, sarà lasciata libertà di coscienza al personale medico che vorrà rifiutarsi di prendere parte alla procedura, in ogni caso garantita dal servizio sanitario nazionale.
La soddisfazione di Sánchez
Secondo l’ultima inchiesta di opinione in materia di eutanasia, realizzata da Ipsos nel novembre 2020, l’85% degli spagnoli era favorevole alla sua legalizzazione. Il dibattito sulla “dolce morte” si era acceso nel paese anche sull’onda del premio Oscar “Mar Adentro” che racconta la vicenda di Ramon Sampedro, (interpretato da Javier Bardem), pescatore spagnolo tetraplegico dall’età di 25 anni, poeta e attivista che filmò il suo suicidio assistito il 12 gennaio 1998, dopo che i tribunali gliene avevano vietato il diritto.
Pedro Sánchez è stato il promotore e il volto dell’iniziativa. Egli ha dichiarato che la Spagna, ora, sarà un Paese «più umano, più giusto e più libero», aggiungendo che questa norma, diventata «finalmente una realtà» era stata «ampiamente richiesta dalla società».
Anche Carolina Darias, ministra della Sanità, ha affermato che «con questa legge facciamo un passo avanti verso una società più umana e più giusta per le persone che si trovano in una situazione di grande sofferenza e per le loro famiglie».
Tuttavia, fuori dal parlamento sono state due le mobilitazioni che si sono scontrate, come due schiere, l’una di fronte all’altra: la prima, voluta dall’associazione Abogados cristianos, si batteva per il diritto alla vita; la seconda, invece, indetta dall’Associación Federal Derecho a Morir Dignamente, celebrava il voto già espresso dalla maggioranza delle due Camere a favore della legge. Da un lato i palloncini, dall’altro il simbolo della falce della morte.
Infatti, mentre la compagine di maggioranza si appresta a festeggiare, durissime sono state le critiche da parte della Chiesa. C’è un rischio che questa spaccatura possa scuotere la stabilità dell’esecutivo?
L’ira dei vescovi sull’eutanasia in Spagna

Per la Chiesa risulta inammissibile che la cattolicissima Spagna abbia approvato una legge che legalizzi la morte, “dolce” o amara che sia. Sulla legge spagnola che regola l’eutanasia, infatti, sono intervenuti i vescovi attraverso il segretario generale della Conferenza episcopale del Paese iberico, monsignor Luis Argüello Garcia, vescovo ausiliare di Valladolid, che ha commentato:
«Una brutta notizia. È stata scelta la soluzione più semplice: per evitare la sofferenza si causa la morte di coloro che la subiscono, senza considerare che si può porre un valido rimedio ricorrendo alle cure palliative»
Anche l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha commentato negativamente l’approvazione della legge:
«Alla diffusione di una vera e propria cultura eutanasica, in Europa e nel mondo, si deve rispondere con un approccio culturale diverso. La sofferenza e la disperazione dei malati non vanno ignorate. Ma la soluzione non è anticipare la fine della vita. La soluzione è prendersi cura della sofferenza fisica e psichica. Non dobbiamo anticipare il lavoro sporco della morte con l’eutanasia. Dobbiamo essere umani, stare accanto a chi soffre, non lasciarlo nelle mani di una disumanizzazione della medicina o nelle mani dell’industria eutanasica».
Tuttavia, non solo la Chiesa, ma anche l’Ordine dei medici spagnoli e il Comitato spagnolo di Bioetica hanno criticato la nuova normativa e rifiutano di considerarla un diritto. A tal proposito, il presidente del Collegio dei Medici di Madrid, ha affermato che «questa legge va contro l’essenza della medicina».
Il punto sull’eutanasia in Europa e nel mondo
Secondo l’associazione spagnola Derecho a Morir Dignamente, nei paesi in cui l’eutanasia è legale la pratica riguarda tra l’1 e il 4% delle persone che muoiono in un anno.
Tuttavia, sono solo sette i Paesi che hanno di fatto legalizzato l’eutanasia attiva, di cui quattro (Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e, da giugno, la Spagna) sono europei. In Svizzera, Francia, Austria, Germania, Danimarca, Norvegia, Ungheria, Lituania, Lettonia e alcuni Paesi degli Stati Uniti, invece, sono autorizzate o l’eutanasia passiva o il suicidio assistito.
Nel vicino Portogallo una normativa simile, approvata a gennaio dal Parlamento, è stata bloccata lo scorso lunedì dalla Corte costituzionale, giudicandola imprecisa nell’identificare le condizioni alle quali si può richiedere l’eutanasia o il suicidio assistito.
La Francia, invece, pur non avendo di fatto legalizzato l’eutanasia, permette al malato di scegliere lo stato di “sedazione continua”, in attesa della morte naturale.
In Colombia la pratica è legale per decisione del Corte costituzionale, ma il Parlamento non ha approvato una legge che la disciplini. In Nuova Zelanda una legge sull’eutanasia entrerà in vigore a novembre.
Le reazioni in Italia
Marco Cappato dell’associazione Luca Coscioni ha affermato che la Spagna «ha fatto in sei mesi ciò che il Parlamento italiano non è riuscito a fare in oltre 7 anni», cioè «avviare la discussione in Commissione parlamentare e arrivare all’approvazione di una legge».
In Italia, infatti, i tentativi non sono mancati e risalgono a 7 anni fa, quando l’associazione Luca Coscioni ha cominciato a raccogliere firme per muovere concreti passi verso la legalizzazione dell’eutanasia. Queste firme sono poi diventate 140mila, 140mila nomi che chiedono la “dolce morte”. E questi numeri continuano a crescere. E non sono solo numeri: sono nomi e cognomi, sono persone.
Tuttavia, tutto questo non è bastato e il Parlamento, come dichiara Cappato, non ha mai «aperto una discussione in plenaria nonostante l’opinione pubblica sia, come tutti i sondaggi dimostrano, ampiamente favorevole alla regolarizzazione dell’eutanasia e nonostante due richiami della Corte Costituzionale».
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