Scozia e Irlanda del Nord: due mine sull’unità della Gran Bretagna

di Nicol Degli InnocentiIlSole24ore

Il trionfo di Boris Johnson è offuscato dalle pulsioni indipendentiste che crescono in Scozia e Irlanda. I nazionalisti pro-europei dello Scottish National Party sono sul piede di guerra e chiederanno un secondo referendum entro l’anno prossimo

Nicola Sturgeon (Afp)

Boris Johnson ha vinto e stravinto, ma un’ombra offusca il suo trionfo. L’ombra ha la forma e le dimensioni della Scozia, che torna a reclamare l’indipendenza dal Regno Unito.

Il partito indipendentista scozzese, l’Snp, da sempre filo-europeo, ha fatto una campagna giocata su due temi: no a Brexit e diritto all’indipendenza per la Scozia. Il partito ha dominato le elezioni, conquistando 48 seggi su un totale di 59, tredici in più del 2017, mentre i Tories hanno perso oltre metà dei seggi fermandosi a sei.

La premier scozzese Nicola Sturgeon ha subito dichiarato che i risultati dimostrano che gli elettori «vogliono che la Scozia possa determinare il suo futuro e non debba sopportare un Governo conservatore per il quale non ha votato e non debba accettare di vivere fuori dall’Unione Europea».

La Scozia in pressing per un secondo referendum
La Sturgeon intende chiedere a Johnson il via libera a un secondo referendum sull’indipendenza già il prossimo anno, dato che spetta al Governo di Londra autorizzare il voto. La combattiva leader dell’Snp sa che il premier britannico respingerà la richiesta, ma non potrà ignorare a lungo quella che ha definito «una questione di democrazia».

Johnson è estremamente impopolare in Scozia perché considerato un esponente del nazionalismo inglese che ha sempre guardato gli scozzesi dall’alto in basso. Brexit è altrettanto invisa, dato che due terzi degli scozzesi nel 2016 avevano votato a favore di restare nella Ue e non hanno cambiato idea. Nel 2014 invece il 55% degli scozzesi aveva votato a favore di restare parte del Regno Unito, deludendo le speranze dell’Snp al Governo a Edimburgo.

Allora la maggioranza aveva scelto di restare in un Regno Unito che faceva parte della Ue e non prendeva in considerazione l’idea di lasciare.
La Sturgeon conta sul fatto che Brexit ha cambiato tutto: ora la prospettiva di far parte di una Gran Bretagna che si distacca dall’Europa è molto meno invitante e una Scozia indipendente, associata in qualche modo alla Ue, diventa più allettante.

Un paese (ancora) più spaccato
Le elezioni del 12 dicembre hanno rafforzato il quadro presentato dal referendum sulla Ue del 2016. Dopo tre anni e mezzo di dispute, discussioni, polemiche e rinvii, i cittadini britannici restano divisi come allora. La Scozia, l’Irlanda del Nord e Londra confermano di voler restare nella Ue, mentre l’Inghilterra, capitale esclusa, vuole Brexit.

In Irlanda del Nord i partiti nazionalisti cattolici per la prima volta nella storia hanno ottenuto più seggi degli unionisti protestanti. Il Dup ha perso due seggi su 10 e anche Nigel Dodds, leader del partito a Westminster, non è stato rieletto. Sinn Fein ha conquistato 7 seggi e l’Alliance Party 2.

Il Dup ha quindi pagato il prezzo del suo sostegno al Governo conservatore e la sua posizione anti-Ue perché gli elettori nordirlandesi, così come gli scozzesi, hanno ribadito la loro ferma opposizione a Brexit. Il distacco dalla Ue crea problemi politici, economici e sociali particolarmente gravi per l’Irlanda del Nord e la questione del confine tra le due Irlande è stato l’ostacolo maggiore nei negoziati tra Londra e Bruxelles degli ultimi tre anni.

Si riaccende il nazionalismo irlandese
Johnson lo ha superato accettando quello che aveva fino al giorno prima definito “improponibile”: la separazione di fatto dell’Irlanda del Nord dal resto del Regno Unito e la creazione di un confine invisibile ma reale nel mare del Nord. Il suo ruolo di paladino di Brexit ha prevalso su quello di difensore dell’Unione – il nome completo del partito che guida è infatti Conservative and Unionist Party.