Compromessi. Si avvicina la fantomatica Fase 2

di Guglielmo RezzaOTHERNEWS

Operai in fabbrica ai tempi del COVID-19

Tutto sommato, quella che a questo punto dovremmo chiamare Fase 1, nella sua brutale semplicità, non ha posto troppi dilemmi o lasciato spazio a molti confronti: la principale domanda era quando questa sarebbe finita. Per il resto, pur in presenza di una comunicazione istituzionale non sempre chiara e univoca, si può dire che il dibattito sulle misure da adottare si sia risolto con un imperativo abbastanza netto: “se il vostro lavoro lo permette state a casa”. Certo, c’è chi ha cercato caparbiamente di violare queste norme, come del resto c’è chi ha dato luogo a paradossali inseguimenti con tanto di elicotteri, telecamere e forze dell’ordine, con un dispiegamento di forze più adatto ad arrestare dei rapinatori di banche che dei semplici runner, ma violazioni delle norme ed eccessi nella loro applicazione a parte possiamo dire che i confini delle nostre libertà sono stati tracciati abbastanza nettamente.

Tutto ciò finché è perdurata la percezione di vivere in uno stato eccezionale di emergenza. Le impellenti necessità economiche del Paese sembrano tuttavia aver avuto la meglio sulle preoccupazioni degli esperti e l’imperativo “prudenza” sembra essere stato sostituito dal più invitante “riaprire”. Possiamo percepire questo cambiamento di attitudine nei mezzi di informazione cartacei, televisivi e digitali, che ci stanno abituando a considerare il peggio come qualcosa che ormai appartiene al passato e il contesto di eccezionalità come qualcosa di ormai concluso. Così, con la presunta conclusione dell’emergenza, diminuisce l’inclinazione della popolazione ad accettare compromessi e limitazione delle proprie libertà, che si tratti di libertà di iniziativa economica o di libertà dal controllo capillare della autorità sulla popolazione.

Eppure, bisogna tenere presente che sarà pressoché impossibile debellare completamente il virus in Italia fino alla produzione in massa del vaccino e che i cittadini italiani, fino ad allora, dovranno continuare ad accettare compromessi e limitazioni, sempre che la priorità sia quella di salvare vite.

Per usare un detto popolare che non dovrebbe avere particolari connotazioni maschiliste, non è possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca. Nello specifico, sarà necessario rinunciare a qualcosa, poiché sarà impossibile tornare completamente alla normalità: piena libertà da controlli e limitazioni, ripresa dell’attività economica e minimizzazione delle perdite di vite umane sono elementi che difficilmente possono coesistere. Avere soddisfatte in contemporanea tutte le nostre esigenze sarà impossibile.

Se la nostra priorità sarà quella di tornare a vivere in piena normalità le nostre vite, riprendendo lo svolgimento delle nostre consuete attività, senza essere disposti ad accettare tutte le forme di controllo cui non eravamo abituati, che si tratti di applicazioni per il tracciamento di spostamenti, autocertificazioni, o possibili limitazioni della libertà di spostamento, riunione o assembramento, allora dovremo essere anche pronti a farci carico delle possibili perdite umane causate dal virus che ne potrebbe derivare. Pur senza evocare scenari autoritari, se vogliamo tornare a una parvenza di normalità, dobbiamo essere disposti ad accettare delle limitazioni che normalmente non riterremmo compatibili con la nostra democrazia, sempre ammesso che la nostra priorità sia minimizzare il rischio di perdite umane.

Se invece non siamo disposti ad accettare limitazioni delle nostre libertà, che si tratti di libertà economica o libertà personali, incluso il tracciamento dei nostri spostamenti e limitazioni conseguenti, dobbiamo essere ben consci che ogni misura che rifiutiamo di applicare, poiché contraria ai nostri principi economici o democratici, rappresenta una certa percentuale di rischio in più che stiamo decidendo di assumerci. Non parliamo di una conversione diretta di mancate misure di controllo in decessi, poiché sono così tanti i fattori intervenienti che potrebbe anche verificarsi il caso fortunato e fortuito per cui la mancata adozione di una misura potrebbe non tradursi in perdite umane, ma per certo il rifiuto di adottare determinate misure comporta in un incremento delle probabilità di diffusione della malattia.

L’esempio pratico più immediato è la riapertura di determinate attività economiche e di maggiori libertà di movimento a partire dal 4 Maggio: certo, se le misure attuali fossero state ulteriormente prorogabili avremmo potuto ulteriormente frenare i contagi, ma il confronto tra le esigenze sanitarie e le esigenze sociali ed economiche ha dato ragione alle seconde, così che si è considerato accettabile assumersi i rischi che deriveranno dalla riapertura. Non abbiamo vinto e ciò che ci aspetta non sarà una marcia trionfale sul virus. Ogni nostra libertà andrà soppesata e sull’altro piatto del bilanciere ci sarà il rischio di contagio cui esporremo una porzione crescente di popolazione. Se necessario, saremo disposti a concedere i dati sul nostro stato di salute, sui nostri spostamenti e sulle persone che abbiamo frequentato? Saremo disposti a vedere nuovamente temporaneamente chiusa la nostra attività economica? Saremo disposti a tornare a chiuderci nelle nostre case qualora dovesse esplodere un nuovo focolaio? Potremmo porci molte altre domande e dibattere a lungo su dove si trovi il confine tra il rispetto delle nostre tutele democratiche e livelli di controllo autoritario, ma ciò di cui dobbiamo essere coscienti è che la risposta che diamo a ciascuno di questi quesiti corrisponde a rischi in termini di vite umane che decidiamo o meno di assumerci. A quali compromessi saremo disposti a scendere?