Troppe crisi in Libano

di Guglielmo RezzaOTHERNEWS

Il Libano sta attraversando quella che è forse la peggior crisi dal termine della Guerra Civile e le misure di lockdown per contenere il coronavirus non sembrano arrestare le proteste. Anzi…

Manifestanti in una dimostrazione antigovernativa [Aziz Taher/Reuters]

La situazione in Libano continua a complicarsi e la crisi che da mesi attanaglia il Paese sembra essere entrata in una nuova drammatica fase. Le restrizioni volte a contenere la diffusione del virus non sono state sufficienti a impedire ai libanesi di scendere in piazza e ad Aprile sono riprese le proteste. Scontri particolarmente violenti hanno avuto luogo a Tripoli, città collocata in una delle aree più povere del Paese, dove sedi di banche e bancomat, bersaglio della rabbia popolare, sono stati dati alle fiamme. La dura repressione dei disordini da parte delle forze dell’ordine ha causato la morte del manifestante 27enne Fawwaz Samman, vittima dal fuoco dei militari.

Il Libano, uscito nel 1990 da una guerra civile durata ben 15 anni, ha provato a risolvere le tensioni interne dando vita a un complesso sistema consociativo che prevede la spartizione di cariche e risorse tra le élite che rappresentano i tre principali gruppi del Paese: basti pensare che il Presidente della Repubblica deve essere necessariamente un cristiano maronita, il Presidente dell’Assemblea Nazionale un musulmano sciita, mentre il Primo Ministro un musulmano sunnita. La spartizione delle risorse su base etnico-religiosa ha portato a un consolidamento delle élite di potere, che vivono in una situazione di agio a fronte di una povertà diffusa e a una gestione sostanzialmente dispersiva ed inefficace delle risorse del Paese. Fino allo scoppio delle crisi circostanti le principali risorse del Paese erano il turismo e le rimesse dagli emigrati all’estero.

La mobilitazione popolare per le strade del Libano non è una novità: l’inizio dell’attuale ondata di proteste può infatti essere fatto risalire al 17 Ottobre 2019. Già allora il Paese si trovava a doversi confrontare con un debito pubblico superiore al 150% del PIL del Paese, cui il governo aveva deciso di far fronte col più classico dei provvedimenti, ossia istituendo nuove tasse, tra cui la famigerata tassa su Whatsapp. L’annuncio non è stato accolto con particolare piacere dai libanesi, già esasperati da fenomeni di corruzione e sprechi apparentemente endemici della classe politica e dell’amministrazione pubblica locale, da carenze sistemiche quali ad esempio le forniture energetiche intermittenti, ma soprattutto dalle profonde disuguaglianze che attraversano il Paese.

Le manifestazioni avevano portato alle dimissioni ad Ottobre del premier Saad Hariri, cui era subentrato Hassan Diab, più vicino ad Hezbollah. Il cambio al vertice non sembra però aver contribuito a migliorare la situazione economica del Paese, che ha continuato a deteriorarsi col passare dei mesi. Il segnale più significativo delle profonde difficoltà economiche che il Libano sta attraversando è stato l’annuncio del default il 7 Marzo 2020, quando il Primo Ministro ha reso noto che il Paese non sarebbe stato in grado di rimborsare eurobond per un valore di 1,2 miliardi di dollari. Le precarie condizioni economiche del Paese, la situazione politica degli Stati circostanti non esattamente rassicurante e le tensioni interne non contribuiscono certo a migliorare quella che è anche una crisi sistemica, così che negli ultimi 6 mesi il valore del cambio della lira libanese rispetto al dollaro si è più che dimezzato e il fenomeno di svalutazione della moneta non accenna ad arrestarsi.

Così, nel mezzo della crisi economica e sociale che già stava mettendo a dura prova la tenuta delle istituzioni libanesi, sono stati registrati i primi casi di contagio da COVID-19, giusto per inserire un’ulteriore imprevedibile variabile in un momento già drammatico. Lockdown e crisi economica hanno portato a un rincaro dei beni primari insostenibile per le troppe famiglie che già prima della crisi faticavano a sostentarsi, così che in molti hanno deciso, negli ultimi giorni, di scendere nuovamente in piazza per manifestare contro le condizioni di vita divenute insostenibili. Una delle molteplici cause di risentimento verso le banche del Paese, divenute un bersaglio dei manifestanti, è stata la decisione di bloccare i prelievi in dollari, poiché la Banca Centrale starebbe cercando di tutelare le proprie riserve di valuta estera a fronte della svalutazione della lira libanese. Per cercare di arginare i danni in quella che sembra una crisi senza via di uscita il governo libanese ha ufficialmente sottoscritto, nella giornata di ieri, una richiesta d’assistenza al Fondo Monetario Internazionale, ma difficilmente questo sarà sufficiente a soddisfare i manifestanti.

Il Libano si trova in uno dei momenti più difficili dalla fine della guerra civile e la strada per uscire da quella che è una crisi multidimensionale sembra ancora lunga.