Dopo l’annuncio delle elezioni rimandate per tre volte, è stata finalmente stabilita una data dopo le forti pressioni da parte della popolazione scesa in piazza a protestare in tutto il paese.
Il giornalista statunitense Paul Jay, fondatore e direttore della testata online theAnalysis.news, ha discusso sulla controversa situazione in Bolivia con il giornalista boliviano Carlos Orias e il corrispondente di Othernews in America Latina, Tony Phillips, in questo Podcast in collaborazione con Othernews. 👉 Bolivia: barricate e crisi nella crisi
In breve:
di Cecilia Capanna
Il governo transitorio di destra presieduto da Jeanine Anez, insediatosi approfittando del vuoto causato dalle furiose proteste che hanno infiammato la Bolivia lo scorso ottobre, si è visto costretto a cedere alla richiesta di nuove elezioni da parte dei nuovi manifestanti, simpatizzanti per l’ex presidente Evo Morales, costretto a suo tempo alla fuga in Messico e poi in Argentina, dopo essere stato accusato di brogli elettorali e di aver ancora prima ignorato i risultati di un referendum che gli avrebbe impedito di ricandidarsi l’ennesima volta con il suo partito MAS (Movimento per il Socialismo).
In realtà lo scontento per l’operato del primo presidente indigeno, nei suoi 14 anni di governo, è stato causato anche da altre ragioni. Le popolazioni indigene che lo hanno sempre sostenuto si sono sentite tradite da alcune iniziative ai loro danni, come la costruzione di una super strada nella foresta, per cui si sono sollevate proteste represse con violenza. Alle altre accuse di corruzione del governo e di collusioni con industrie di gas e minerarie, si è aggiunta una “soap opera” all’interno della famiglia di Evo con un presunto figlio riconosciuto e poi sembrerebbe mai esistito, avuto da una ex fidanzata, manager della società cinese CAMC, che oltretutto faceva affari dall’ufficio istituzionale come first lady. Insomma un bel pasticcio.
Con la promessa di riportare l’ordine in strade e piazze infiammate dalle furiose proteste contro Evo, dunque, Bibbia alla mano ha approfittato della confusione appunto Jeanine Anez, firmataria di un decreto con cui ha scagionato le forze dell’ordine da abusi e violenze perpetrati nella soppressione delle manifestazioni, provocando l’intervento di Ue e Nazioni Unite, nonché l’indignazione internazionale. Questa sua auto designazione ad interim è stata considerata da molti un colpo di stato ma il suo governo è stato approvato dal tribunale costituzionale boliviano, nonché riconosciuto a livello internazionale anche dall’Organizzazione degli Stati Americani, organizzazione accusata però di avere un atteggiamento ostile nei confronti degli esperimenti di socialismo in America Latina.
Si vocifera anche di un appoggio indiretto a questo governo transitorio da parte degli Stati Uniti, difensori delle industrie che, nazionalizzate da Morales, hanno perso il margine di interferenza nord-namericana, e da parte della chiesa, soprattutto evangelica.
Se già la situazione era incandescente l’autunno scorso, con la pandemia non ha potuto che aggravarsi e precipitare nella profonda crisi sociale, economica, sanitaria e politica.
Per tentare di calmare le acque, finalmente sono state fissate le elezioni per il prossimo 18 ottobre, dopo essere state annunciate già per due volte e altrettante volte rimandate. Jeanine Anez si è candidata rendendo ormai palese la sua intenzione di restare, stavolta spererebbe legittimata dal voto popolare. Se l’apertura delle urne non verrà rimandata un’altra volta, sarà interessante vedere come andrà a finire il testa a testa tra la presidente e il candidato di MAS, partito per ora favorito dai sondaggi ma a rischio smantellamento. Seguimos.
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