Ursula von der Leyen si imbarca nella questione migranti

di Marlene SimoniniOTHERNEWS

È successo: gli occhi della comunità europei sono caduti sulla questione migranti e siamo giunti alla decisione che sì, bisogna migliorare le cose e sì’, ora è un buon momento per farlo. Altolà, all’annuncio di nuove procedure abbiamo gioito, ora che in parte le conosciamo un certo scetticismo la fa da padrone, ma i giochi non si sono ancora conclusi…

Credits to: Stefano Bosis, migrants’ night, oil on canvas, 2017

Excursus storico

Fino ad oggi la questione immigrazione è stata regolamentata dalla Convenzione di Dublino, non per nulla detta anche Convenzione della discordia. È entrata in vigore il 1 settembre 1997 in forma di regolamento, ovvero come legge europea vincolante per tutti quegli stati facenti parte dell’Unione Europea. Ha subito due diverse modernizzazioni: la prima nel 2003, divenendo Dublino II e la seconda nel 2013, con Dublino III, e questa settimana sarebbe dovuta essere la volta buona per riprenderla in mano, rimaneggiarla e ridarle una nuova, bellissima vita.  

La gestione dei flussi migratori era un argomento in lista per la fine del mese di settembre, tuttavia la contemporanea pandemia e il più recente e doloroso incendio nel campo profughi di Moria, Grecia, hanno reso evidente l’urgenza della questione.

Quali sono le ragioni per abolire, oggi, ahora, now, la convenzione di Dublino?

Essenzialmente, è da rivedere quel meccanismo che sovraccarica i paesi di primo approdo – in primis Italia, Grecia e Malta.  Il sistema comunitario in vigore stabilisce che tali paesi sono incaricati di trattenere i migranti in attesa che la loro richiesta di asilo venga approvata. Ciò sovraccarica, come è facile intuire, i paesi di frontiera, in prima linea nell’accoglienza dei flussi provenienti dalla Turchia, dalla Libia e, più recentemente, anche dalla Tunisia. Questo sovraccarico – ma non solo – genera procedure lente e stantie e ci fa dimenticare stiamo pur sempre parlando di uomini, di persone, di vite.

Reazioni all’annuncio di cambiamenti

Plauso ovviamente da Italia e Grecia, in primis. Rifiuto da parte di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, paesi già condannati dalla Corte di Giustizia dell’UE per aver disatteso il piano di ricollocamenti del 2015. Nel mezzo Francia, Germania e gli stati rimanenti, con orecchie ben tese verso i cambiamenti pronunciati dalla preside della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.

Quali cambiamenti, quindi?

Pochi. Prima di tutto. O quantomeno migliorabili. La parola solidarietà è stata pronunciata 22 volte dichiarando la nascita del New Pact on Migration and Asylum. Tale patto, fa male dirlo, lascia trapelare quella che è sempre stata l’esigenza primaria dell’Unione Europea: contenere gli arrivi e favorire i rimpatri. In particolar modo, diverse sono le criticità: nel nuovo Patto non vi è traccia della ricollocazione obbligatoria dei migranti tra i vari Stati membri, aspetto cu cui hanno insistito particolarmente i paesi di frontiera. In secondo luogo, i Paesi UE non di primo approdo avrebbero la possibilità di scegliere se accogliere i migranti o pagare per il loro rimpatrio. Infine, i tempi. Tempi troppo rigidi e troppo stretti, tempi troppo brevi, dall’arrivo del migrante, per poter esaminare la sua domanda di asilo e riconoscere una situazione di vulnerabilità. fino all’assenza, tra l’altro, di qualsiasi parola riguardante i canali umanitari, essenziali nell’evitare tragedie in mare e in prima linea nel combattere il traffico degli esseri umani.

Quel senso di soddisfazione che ci aspettavamo in seguito all’annuncio di cambiamenti nella politica migratoria non c’è stato, è vero, ma possiamo considerare questo come un punto di partenza per la riapertura delle trattative. Un viaggio che l’Europa potrà compiere, remando verso un approdo migliore.