a cura di Cecilia Capanna
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di Gianfranco Maselli – 12-18 ott 2020
Alcune proteste si diffondono sulla bocca di tutti, altre rimangono inascoltate. Oggi vogliamo dare voce all’India, alla Nigeria e al Kirghizistan, tre paesi che questa settimana hanno visto strade e piazze riempirsi di manifestanti. A guidarli ci sono motivi tutti differenti e importanti, anche se l’opinione pubblica sembra essersene interessata poco. La crisi sociale del nostro tempo non conosce confine, ma attraversa ogni anfratto del nostro globo, anche il meno conosciuto. Lo sa bene Papa Francesco, a cui abbiamo dedicato parte di questa rassegna settimanale. Le sue encicliche racchiudono a pieno le sfide del nostro tempo.
LOTTA SENZA FINE
Gli scontri nella regione del Kashmir non cessano, alimentati da un malcontento che si trascina da decenni attraverso la storia della regione, divisa tra India e Pakistan. L’ultima scintilla che ha riacceso l’insoddisfazione popolare è stata una notifica del Ministero dell’Interno che ha riportato per le strade l’ira dei ribelli del Kashmir. Mentre sale a due il numero delle vittime negli scontri con le forze dell’ordine e si contano decine di feriti, è giusto chiedersi: cosa sta succedendo? Cosa ha decretato il ministero? Qual è la ragione di queste ultime proteste? Il governo indiano, nell’ultimo anno, ha arrestato migliaia di attivisti, politici locali e uomini d’affari ma la recentissima scarcerazione dell’ex primo ministro del Kashmir, Mehbooba Mufti, ha introdotto nuovi scenari politici che potrebbero risultare determinanti per il raggiungimento dell’indipendenza. Con la nostra Rosarianna Romano ripercorriamo il presente e il passato della regione, da decenni impegnata in una lotta che sembra non avere fine👇
POLIZIA OMBRA O OMBRE IN POLIZIA?
Questa settimana anche le strade delle principali città nigeriane si sono riempite di fiumi di manifestanti. In quello che si appresta a diventare il terzo paese più giovane al mondo, si è affacciata una nuova sfida: la lotta al corpo di polizia speciale Sars, da tempo accusato di violenze, abusi ed estorsione. Nonostante a scatenare le proteste sia stato un video risalente a qualche settimana fa, in cui si vedono gli agenti Sars uccidere un uomo, già da diversi anni il corpo di polizia è al centro delle polemiche.
La Sars, fondata nel 1992 e inizialmente pensata come polizia ombra, nel corso degli anni si è impegnata a combattere la criminalità dilagante e la mafia nigeriana del Boko Haram non senza macchiarsi, tuttavia, di diverse colpe al suo interno. La cronaca infatti ha riportato numerosi casi di violenze e abusi sulle persone arrestate ed a ciò si sono affiancate notizie di pratiche di estorsione portate avanti dagli agenti stessi. Nei giorni scorsi il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, e il capo della polizia nigeriana, Mohammed Abubakar Adamu, hanno proclamato lo scioglimento della Sars, seguito da una serie di processi determinanti nel riportare a galla le colpe della polizia.
Un ruolo attivo e determinante nel raccontare la violenza della Sars è stato svolto dai rapporti delle organizzazioni non governative, prima fra tutte Amnesty international, impegnata in più di una lotta all’interno del territorio nigeriano.
A MORTE PER UNA CANZONE
Amnesty International ha sollecitato le autorità dello stato nigeriano anche circa l’annullamento della condanna all’impiccagione di Yahaya Sharif Aminu, un cantante 22 enne accusato di aver composto una canzone blasfema ed offensiva nei confronti dell’Islam. Il 22 enne è stato arrestato lo scorso marzo, dopo che una folla di facinorosi aveva abbattuto la porta d’ingresso della sua abitazione e si era recata in processione al quartier generale della polizia di Kano, reclamando la sua condanna. La pena di morte è prevista dalla Shari’a ma il governo centrale tuttavia è obbligato, ai sensi del Patto Internazionale sui diritti civili, a limitare il ricorso alla pena capitale a reati più gravi, come l’omicidio intenzionale.
Non è possibile restare in silenzio davanti ad un ragazzo che rischia di essere impiccato per un canzone. Amnesty International non ha mai smesso di sollecitare il rilascio immediato e incondizionato di Aminu. Firmare la petizione per chiedere l’annullamento della condanna potrebbe salvargli la vita.
QUANTO NE SAPPIAMO DEL KIRGHIZISTAN?
Anche in Kirghizistan il popolo si è riversato nelle piazze per protestare violentemente. La causa scatenante, in questo caso, sono i risultati delle elezioni del 4 ottobre, conclusesi con la vittoria dei partiti filorussi. Il risultato non sembra essere stato gradito dalla popolazione che, in massa, ha scatenato tutta la sua forza assaltando il carcere di Bishkek per liberare l’ex presidente Almazbek Atambayev e gli ex Ministri Satybaldyiev, Iskov, eSadyr Japarov. Il paese si trova oggi in una situazione drammatica, dove al completo caos sociale-politico e alle sue incidenze sull’economia del paese si uniscono una crescente criminalità e continue violazioni di diritti umani. Quanto ne sappiamo del Kirghizistan? Analizziamo l’attuale situazione del paese a 360 gradi con la nostra Naomi Di Roberto 👇
LE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO
La crisi sociale del nostro tempo non conosce confine territoriale. Si espande attraverso ogni anfratto del nostro pianeta, fino a raggiungere le sue insenature più sconosciute, quelle periferie globali che, ancora oggi, restano dimenticate dal centro del mondo. Allo stesso modo anche la sfida al cambiamento climatico sembra, giorno dopo giorno, unirci tutti quanti nella stessa squadra per combattere una battaglia sempre più urgente. Lo sa bene Papa Francesco, a cui abbiamo dedicato quest’ultimo paragrafo della nostra rassegna settimanale. Le sue tre Encicliche, Lumen Fidei del 2013, Laudato Sii del 2015 e Fratelli Tutti del 2020, racchiudono a pieno le sfide sociali ed ambientali del nostro tempo. Ce le racconta la nostra Marlene Simonini 👇
Grazie dell’attenzione, buona domenica, alla prossima settimana.
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