Il 14 febbraio 2021, si sono tenute le elezioni in Catalogna per la presidenza della Generalitat (principale organo istituzionale della comunità autonoma) al termine del quale il territorio catalano sembra essersi prepotentemente colorato di giallo indipendentista. Nonostante vincitore delle urne risulti il partito socialista PSC (frangia del Pse) con il 23% dei voti, pari a 33 seggi, seguono a scendere i tre principali partiti indipendentisti: al secondo posto ERC (Esquerra Republicana de Catalunya, centrosinistra), con il 21,3% dei voti e 33 seggi, al terzo posto Junts per Catalunya (centrodestra) con il 20% dei voti e 32 seggi e al quarto posto CUP (Candidatura d’Unitat Popular, estrema sinistra) con il 6,6% dei voti e 9 deputati.
di Marlene Simonini – OTHERNEWS
I numeri delle elezioni in Catalogna
Nonostante i socialisti del Pse abbiano conquistato il primo posto alle elezioni, non potranno governare senza l’alleanza di almeno un partito indipendentista. Prima opzione, in linea teorica, potrebbe essere ERC, già partito di maggioranza al governo spagnolo, tuttavia per la Catalogna la vicenda è inevitabilmente diversa: il leader catalano di ERC, Oriol Junqueras, è dal 2017 in carcere (con una pena di 13 anni per sedizione), a seguito del referendum illegale per l’indipendenza catalana del 1 ottobre 2017; Junqueras rifiuta categoricamente un’alleanza con il partito socialista – e non indipendentista – anzi, le sue esatte parole sono state “impossibile, perché si tratta di un partito agli antipodi”.
Si aggiunge, per poter completare il quadro politico catalano, che prima della chiamata alle urne tutti i partiti indipendentisti hanno sottoscritto una dichiarazione in cui esplicitano il loro rifiuto a dar vita ad un’alleanza post elettorale con il Partito Socialista.
Considerato tutto ciò, si potrebbe pensare ad un governo composto dai tre principali partiti indipendentisti. Provenienti da orientamenti contrapposti, i rapporti tra Esquerra Republicana e Junts per Catalunya (centrosinistra il primo e dall’approccio più conciliante, centrodestra il secondo e dall’approccio più rigido) non possono dirsi tra i migliori. Se tra i due litiganti il terzo gode, ERC, in quanto formazione indipendentista più votata, sarebbe disposta a passare alla maggioranza ma pretendendo un presidente catalano appartenente alla sua scuderia.
Il referendum per l’indipendenza catalana del 2017
La realtà catalana, territorio che chiede l’indipendenza al governo spagnolo ormai da secoli, aveva raggiunto il suo culmine negli ultimi anni, in particolar modo con il referendum del 1 ottobre 2017, supportato dalla maggioranza della Generalitat catalana ma non dal governo spagnolo (o dalla costituzione spagnola, elemento da non sottovalutare). Lo svolgimento del referendum aveva portato all’attuazione dell’articolo 155 della Costituzione con il conseguente commissariamento della Catalogna da parte di Mariano Rajoy (allora Presidente del governo spagnolo e leader del PP). Alla fine della fiera, l’organizzatore del referendum Carles Puigdemont si era ritirato in Belgio (è ora europarlamentare), si indirono nuove elezioni in Catalogna, vinte dal secessionista più pacato Quim Torra, e negli anni a seguire si è tentato di ristabilire l’equilibrio nel territorio catalano. È questo il motivo per cui le scorse elezioni in Catalogna sono risultate così importanti: la Catalogna sta scegliendo nuovamente e, a suon di voti, sceglie ancora l’indipendenza.
Leggi anche: Quim Torra: il sentimento indipendentista catalano negli striscioni gialli della sua Generalitat
Breve analisi del voto
Per capire perchè, dopo anni di graduale raffreddamento del sentimento indipendentista, il popolo catalano è ora tornato alla ribalta, bisogna prestare attenzione agli accadimenti sociali che erano, ad esempio, scaturiti nel passato referendum del 2017.
Quel territorio, che oggi si presenta come uno dei maggiori poli industriali non solo della penisola iberica ma anche dell’Europa meridionale, aveva iniziato la sua ascesa economica ed industriale nel 1986, anno in cui la Spagna entrò nella comunità europea. La Catalogna aveva iniziato a prosperare ma la crisi finanziaria internazionale del 2008 aveva rovinato gli equilibri duramente raggiunti ed a soffrirne maggiormente furono le classi lavoratrici e medie, le stesse che pochi decenni prima avevano visto migliorare le proprie condizioni. Da questo tipo di disagio, esasperato da pesanti tagli al welfare e nessuna forza politica spagnola (destra o sinistra) che fosse in grado di offrire una alternativa al disagio catalano, erano scaturite le manifestazioni in piazza e poi il leggendario referendum del 2017.
La situazione sembra ora riproporsi: l’attuale crisi economica, dovuta alla pandemia da Covid19, torna a mettere in difficoltà non solo le classi lavoratrici e medie, ma porta un sentimento di scontento generalizzato all’interno della regione. Il risultato? I catalani si rifugiano ancora una volta nelle loro radici, nella volontà di indipendenza. Nei momenti di crisi la Catalogna torna a tingersi di giallo e Madrid dovrebbe stare all’erta. La scorsa volta, aveva dovuto commissariare un’intera regione per potersi mantenere salda al potere, ripetere la storia sarebbe deleterio al momento.
Leggi anche: Spain’s far-right Vox stages marches against “traitor” PM Pedro Sánchez